Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

Ritorno al “talento”: il teatro del futuro per Antonio Latella, neo-direttore della Biennale Teatro

Venezia, domenica 14 agosto 2016. Sono le 20.30 circa. Gruppi di persone percorrono a passo sostenuto il corridoio che sbuca accanto all’uscita dell’Arsenale-Biennale per raggiungere all’esterno il teatro dove avrà luogo la dimostrazione di lavoro svolto da Babilonia Teatri con attori diversamente abili della compagnia teatrale legata all’associazione onlus ZeroFavole. Ventenni, trentenni, quarantenni anche, sono giunti da ogni parte d’Europa, alcuni anche da più lontano: i pass con il nastrino rosso targato “Biennale di Venezia” appesi al collo, infatti, testimoniano che molti fra quelli sono gli attori, drammaturghi, registi riuniti a Venezia per partecipare ai workshop della Biennale College voluta dal direttore artistico Àlex Rigola nel 2013, all’inizio del suo secondo mandato.
Da allora, infatti, Rigola ha dato la possibilità a giovani artisti del mondo teatrale, tra cui numerosi già più o meno affermati, di studiare e lavorare a stretto contatto con maestri di fama internazionale (per citarne qualcuno, passato quest’anno, il VeneziaLatella1Leone d’Oro Declan Donnelan, Willem Dafoe, Martin Crimp, Mark Ravenhill, Oskaras Koršunovas, Roger Bernat), con l’augurio di accendere nuove micce, di spingere gli allievi verso un futuro stimolante e meno incerto, e forse anche meno solitario.
Gli anni di direzione del regista catalano si ricorderanno con piacere, e i primi a farlo saranno gli artisti che hanno preso parte ai workshop. Il training, il confronto, le discussioni tematiche a tavolino con i maestri così come le loro parole ascoltate ai talk condotti dal critico Andrea Porcheddu (docente a sua volta, insieme a Roberta Ferraresi e ad Anna Pérez Pagès, del workshop in Media-Critica finalizzato alla redazione di un blog, un quotidiano di informazione e di approfondimento critico sulle le attività della Biennale College) sono alcune delle cose belle che resteranno impresse nella memoria degli allievi, partecipanti e uditori; le altre sono state le dimostrazioni aperte al pubblico (gli Opendoors) e gli spettacoli serali. Tra questi, un paio, non recentissimi, vengono oggi accreditati come veri e propri capolavori dei loro autori e, più in generale, della scena contemporanea: “Pinocchio” (2012) di Babilonia Teatro (quest’anno, fra l’altro, Leone d’Argento), per esempio, o “Le Chagrin des Ogres” (2009) a firma del giovane regista belga Fabrice Murgia.
Da un punto di vista estetico, la scelta del campione di artisti e di opere ha dimostrato la profonda consapevolezza delle interferenze tra realtà e dispositivo scenico in auge nel teatro contemporaneo. Si è trattato in molti casi, infatti, di drammaturgie costruite attraverso modalità partecipative di fruizione – a volte spassosissime, altre volte delicatamente ironiche o amare – rotanti intorno alla figura dello spettatore (a tal proposito, si legga Roberta Ferraresi, articolo in calce) o legate alla presenza scenica di non-attori (persone con disabilità psicomotorie, professionisti provenienti da altri ambiti, distanti dalla pratica teatrale).
Non poteva, quindi, concludersi in modo più “caliente” il mandato di Àlex Rigola. Con un palinsesto di spettacoli vario, ma tendente al raccoglimento intimo o sfrontato sul palcoscenico, all’”ammucchiata” tra spettatori e attori (ne è stato un favolo esempio “E se elas fossem para Moscou?” di Christiane Jatahy, ma anche l’Opendoors degli allievi di Stefan Kaegi), il Teatro ha stretto tutti in un abbraccio, una danza, un gioco necessario e caratterizzato dalla robusta presenza musicale (articolo 2 in calce al testo).
VeneziaLatella3Finite le danze “democratiche” del regista catalano, dal prossimo anno avranno inizio quelle del direttore subentrante Antonio Latella, fondatore nel 2011 della compagnia stabilemobile, originario anche lui di una terra dal temperamento sanguigno. Napoletano d’adozione – è nato a Castellamare di Stabia, per la precisione –, Latella ha da qualche tempo raggiunto la piena consacrazione a livello europeo come regista, dopo essersi formato “attore” alla scuola del Teatro Stabile di Torino diretta da Franco Passatore e alla Bottega Teatrale di Firenze fondata da Vittorio Gassman, da cui è stato anche diretto. Fra gli altri che l’hanno fatto, Luca Ronconi, Giuseppe Patroni Griffi, Massimo Castri e Elio De Capitani. Le sue regie sono conosciute per essere delle partiture serrate e fisicamente impegnative, delle totali riscritture drammaturgiche: da Shakespeare a Goldoni, a Pasolini, a Fassbinder, le opere di Antonio Latella (di cui si ricordano anche quelle liriche, “Orfeo” di Claudio Monteverdi, “Orfeo ed Euridice” di Gluck, “Tosca” di Puccini) allargano gli orizzonti di senso testuali, e, come tutte quelle importanti e di “rottura”, scatenano non di rado diatribe all’interno dello stesso ambiente teatrale (una delle più accese ha riguardato “Natale in casa Cupiello”, ispirato all’opera del grande Eduardo).
Antonio Latella è il nome giusto per dare continuità al buon operato di Rigola. Da sempre attento al dialogo con la tradizione e con gli occhi rivolti al futuro, il nuovo direttore ha giàVeneziaLatella4 dichiarato di avere in mente «Prendendo forza dall’eredità lasciata dal grande lavoro fatto in questi anni da Àlex Rigola [...], una Biennale Teatro che possa focalizzare la propria attenzione sulla ricerca del talento, ovvero su ciò che può porre le basi per il futuro prossimo del nostro teatro. [...] Talenti capaci di coniugare tradizione e innovazione, impegnati in un continuo scambio con affermati Maestri del palcoscenico, per provare a definire, o almeno a farci intuire, il teatro di domani».
“Talento”. Era da tempo che non si sentiva parlare di talento, sulle scene contemporanee. La parola risuona come un anacronismo o un concetto démodé. Il talento è stato negli ultimi anni una sorta di un mito che andava sfatato per dare la possibilità di esporsi (accanto agli attori tecnicamente addestrati, ma messi un po’ in secondo piano) a chi il “talento” non ce l’ha mai avuto. Interessante oggi si ritiene il fatto di doversi sforzare di creare un linguaggio della scena capace di far vacillare la rappresentazione, integrando il “rischio”, dato dall’inclusione di elementi extra-estetici e imprevedibili. L’attore virtuoso e di talento, in questo senso, è stato per lo più quello capace di rimettere in discussione i limiti della sua stessa presenza e di convertire il segno inestetico in espressione o azione condivisa. Fondamentale non è stato «far provare gli attori o i non professionisti che partecipano, ma far provare il pubblico», per usare le parole di Roger Bernat, uno dei protagonisti dell’edizione 2016 (articolo 3).
Se il teatro di oggi, allora, è ancora un teatro partecipativo o un teatro sociale d’arte, quello di domani potrebbe ritornare a essere, con la Biennale Teatro College diretta da Antonio Latella, un teatro dei nuovi talenti, un linguaggio che pone al centro l’attore e le sue capacità espressive.
Dalla drammaturgia dello spettatore si ritornerà a parlare di drammaturgia dell’attore?
In attesa di scoprirlo, ci riserviamo la domanda.

Renata Savo 30/08/2016

Articolo 1: https://biennaletheatrecommunity.wordpress.com/2016/08/05/drammaturgie-dello-spettatore/ 
Articolo 2: https://biennaletheatrecommunity.wordpress.com/2016/08/11/la-musica-della-biennale-teatro/ 
Articolo 3: https://biennaletheatrecommunity.wordpress.com/2016/07/31/parole-dartista-roger-bernat-yan-duyvendak-talk/ 

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM