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Rai 3: “Ballarò” chiude. Finisce l’epoca dei vecchi talk show?

Ormai non è più troppo presto per parlare di talk show a rischio di estinzione. Dopo l’addio di Nicola Porro a “Virus” su Rai 2, con la puntata di martedì 5 luglio 2016 è calato il sipario anche su “Ballarò”. La chiusura dello storico salotto politico di Rai 3, ideato e condotto per dodici anni da Giovanni Floris e negli ultimi due da Massimo Giannini (foto 1), è il segnale più tangibile della ventata di rivoluzione che la nuova dirigenza Rai ha voluto imprimere alla programmazione della prossima stagione televisiva. È vero, la notizia era già nell’aria da tempo, visto che la neodirettrice della terza rete, Daria Bignardi (foto 3) non aveva fatto mistero di voler rottamare format superati e pilotati troppo a lungo dalle lottizzazioni politiche a favore di talk completamente reinventati, trasversali per target di pubblico e più vicini a quello che gli addetti ai lavori chiamano “infotainment” che all'informazione pura. Più brevi, divisi in due strisceballaro quotidiane, una di informazione politica – con le novità di giornata – in access prime (tra le 20 e le 20.30 circa) e una di satira e informazione in seconda serata (dopo le 23.30); ma soprattutto con pochi ospiti, tempi ristretti, scaletta serrata e impianto visivo più smart.
Una frecciata rivolta chiaramente alla squadra di “Ballarò” che, negli ultimi anni, si era trasformato nel simbolo della crisi di un genere televisivo incapace di rinnovarsi e tener testa a un crollo di interesse per la politica, che coincideva, per paradosso, con un inatteso proliferare di cloni strutturati sulla falsariga del format di punta di Rai 3 (La7 in testa con “DiMartedì”, “Otto e Mezzo”, “Servizio Pubblico”, “Piazzapulita”, “La Gabbia”, e a seguire Rai e Mediaset con “Porta a Porta”, “Virus”, “Matrix” e “Quinta colonna”, contando solo serali e pre-serali). Il cambio della guardia a “Ballarò” con l’arrivo dell’ex vicedirettore de “La Repubblica” nel 2014 non solo non era riuscito a trattenere il pubblico che Rai 3 aveva conquistato grazie alla gestione Floris, ma aveva assistito a un’emorragia di ascolti progressiva, aggravata nell’ultima stagione dalla sfiducia di un governo insorto più volte contro il taglio “fazioso” della trasmissione di Giannini (dal caso Boschi-Banca Etruria ai ripetuti richiami renziani a linee più morbide verso la politica dell’esecutivo).
ballaro3Malumori e strascichi velenosi montati nel monologo di chiusura per l’ultima puntata del programma, quando il conduttore si è levato qualche sassolino commentando con toni polemici non troppo velati: «Siamo ai titoli di coda: “Ballarò” va in pensione, anche noi alla fine siamo stati rottamati. Sono stati due anni faticosi ma veramente entusiasmanti. Abbiamo fatto scelte giuste e scelte sbagliate, com’è normale ma, come avevo promesso, siamo sempre stati dalla parte del pubblico che ci guarda e non del Palazzo che ci critica e ci ha criticato tanto. Siamo sempre stati onesti, spesso abbiamo dato fastidio e ne abbiamo pagato anche qualche prezzo, come capita a chiunque voglia fare un’informazione libera anche dentro un servizio pubblico televisivo sul quale la politica, tutta, proverà sempre ad allungare le mani [...] In questi tempi di malinteso liberismo, dietro ai dati dell’auditel, dietro le cifre di una Partita Iva, dietro i numeri di una matricola, ci sono persone».
Al di là delle dispute politiche, tuttavia, la chiusura di “Ballarò” è sintomatica di una disfatta mediatica, quella dei talk show creati dalla televisione generalista, che si sta consumando velocemente e che pare dovuta a vari fattori: innanzitutto, la progressiva frammentazione del pubblico medio, che rappresentava un grande capitale culturale ed economico per il Paese e che ha scelto di emigrare sulle pay-tv; poi, la sostanziale omologazione dei prodotti, contraddistinti da un notevole impoverimento dei contenuti; infine, l’impatto dei nuovi media che ha letteralmente rubato la scena ai talk show. Ma se il vero dibattito viaggia ormai in rete – laddove il talk ha perso la sua drammaturgia, diventando appendice di eventi che si consumano altrove – la linea indicata da Viale Mazzini punta al rinnovamento restando nel solco del consolidato, perché la televisione conta ancora, anche nell’era dell’informazione cross-mediale. È lì che i politici cercano visibilità, anche se poi utilizzano la rete.
Così, “Ballarò” sarà sostituito da un altro talk (condotto dall’ex Sky Tg24 Gianluca Semprini – foto 3), seppur sottoposto a un profondo restyling, e “Porta a Porta”, in onda da vent’anni, perderà soltanto una serata (da quattro a tre). Timide epurazioni che faticano ad arginare la deriva inarrestabile di un genere invecchiato insieme al suo pubblico, su cui è difficile fare previsioni per il futuro. Perché l’offerta ormai satura dei palinsesti, che invade la vita televisiva dello spettatore quasi quanto le partite di calcio, ha completamente modificato l’informazione trasformando i talk show in ballaro2calderoni popolati di storie (vere o risultato di un accurato lavoro di “cosmesi”) molto spesso al limite della normalità antropologica o totalmente fuori dal normale, poco rappresentative del vissuto della maggioranza dei cittadini ma funzionali alle logiche spettacolari del mezzo. Certo, un ruolo determinante lo hanno giocato le dinamiche produttive: fare un talk costa poco, una puntata di quelli più dispendiosi costa un decimo di quella di un varietà del sabato sera. Pretendere di farne una nuova agorà elettronica, al cui interno la società possa confrontarsi mediante procedure argomentative, e in tal modo raggiungere il consenso su questioni di interesse pubblico, appartiene però alla sfera delle idealizzazioni impossibili. La natura stessa del mezzo televisivo tende a privilegiare l’emozione sulla ragione, il visuale sul verbale. Per questo, forse, solo la sottolineatura dello “storytelling”, della narrazione, come ossatura portante del talk show potrebbe salvarne le sorti conducendo a riflettere sull’importanza di questi programmi nel fornire modelli di comportamento e interazione fra gli spettatori. “Ballarò” ci aveva provato, ma con ascolti che non hanno premiato l’esperimento. Vedremo se col nuovo mandato di rottura il prossimo format del martedì sera di Rai 3 riuscirà a fidelizzare un pubblico di riferimento del canale non di soli over 60.

Valentina Crosetto 09/07/2016

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