«Se Gesù è mio sposo, Dio è mio suocero!». Un’esclamazione che alle nostre orecchie suonerebbe come una freddura degna di un comico, anche se non proprio della migliore specie, è invece una frase riportata sul manoscritto di una mistica vissuta a cavallo tra XV e XVI secolo (Domenica da Paradiso).
La contraddizione di fondo – rimossa energicamente dalla Chiesa – deposta nell’affermazione diffusa di essere in qualche modo tutte un po’ “spose di Cristo” cominciava a essere fin troppo palese soprattutto ai cuori giovani e palpitanti delle donne passate alla storia come “mistiche”: dotate di una spiritualità talmente profonda da valicare i confini della ragione per abbracciare con l’immaginazione esperienze permeate da una implicita sensualità. «Chi sono queste spose? Ma allora Gesù è poligamo?», erano domande che queste donne si ponevano e che si affacciavano nei loro scritti; davanti ai quali, ovviamente, la signora Chiesa non si limitò solo a storcere il naso.
Non è un dato di poco conto che in un’epoca in cui le donne non avevano quasi affatto accesso alla letteratura (si parla di manoscritti la cui datazione risale al 1100 circa e arriva a sfiorare il XVII secolo) ne vivevano alcune che non solo sapevano leggere e scrivere, ma formulavano e scrivevano pensieri di argomento sacro, dove questo “sacro”, però, si mescolava con convinzione al “profano”: l’amore che provavano per Dio e per Gesù. Dio e Gesù erano a tutti gli effetti il loro amore, e per loro – ovvero per amore – esse si annullarono. Completamente. Anima e corpo. Facendo la fame e patendo la sete.
Le voci femminili di questo mondo rimosso dai libri di storia, fatto di parole trascritte dalle già citate mistiche, ma condiviso in parte anche dalle cortigiane, sono state raccolte dalla scrittrice e poetessa Dacia Maraini, ospitata il 21 dicembre al Teatro Eleonora Duse di Roma su invito dell’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”.
Per gli allievi dei corsi attivi dei master in Critica Giornalistica e Drammaturgia e Sceneggiatura, infatti, l’autrice italiana più tradotta al mondo ha tenuto una lectio magistralis dal titolo “La scrittura femminile taciuta: dalle cortigiane alle mistiche”: un incontro durato due ore (forse anche di più), durante il quale molte domande sono state formulate dagli studenti a seguito dell’intervento dell’illustre ospite.
In cattedra, per gli allievi dell’Accademia “Silvio D’Amico”, Dacia Maraini ha letto alcune frasi da lei scelte e reperite sui manoscritti appartenuti a diverse voci femminili sommerse. Tra queste figura Santa Chiara d’Assisi (1193-1253), sulla cui immagine cresciuta all’ombra di S. Francesco la scrittrice ha già pubblicato nel 2013 Chiara di Assisi. Elogio della disobbedienza (edito da Rizzoli). Insieme a Santa Chiara sono state citate Angela da Foligno (1248-1309) e Maria Maddalena De’ Pazzi (1566-1607). Le tre donne vengono affiancate per il fatto che nei cassetti dei monasteri in cui abitavano hanno tutte deposto testi intrisi in uguale misura di passione e sensualità. Sensualità che trasuda da uno stile vivace, che non teme di attingere al campo semantico del corpo. Si fa riferimento a Maria Maddalena De’ Pazzi, cui si deve la descrizione di una visione ambientata in un giardino dove improvvisamente alla mistica si strappa il cuore dal petto, che, munito di ali, vola dritto tra le mani del suo sposo Gesù. Tanti e ancora più espliciti sono gli esempi che hanno incuriosito la platea durante l’incontro. Nel manoscritto di Angela da Foligno compaiono “baci”, “fiato”, “rapimento mistico”: parole che dimostrano persino al lettore contemporaneo quanto i bordi che separavano l’amore spirituale da quello carnale fossero meno spessi di quanto si potesse immaginare.
Tra le altre voci femminili taciute, l’attenzione si è focalizzata in particolare sulla cortigiana veneziana Veronica Franco: una prostituta di strada intelligente, sensibile, che avrebbe scoperto la passione per lo studio (non è retorico, forse, ricordare che la radice stessa di “studio” – dal lat. studium – ha in sé il germe della “passione”) e fondato uno dei più rinomati e apprezzati circoli intellettuali dove si recarono abitualmente letterati e artisti molto stimati come Tintoretto.
La presentazione di Dacia Maraini ha indotto i presenti alla riflessione su alcuni temi riguardanti sia la scrittura femminile taciuta, sia le esperienze personali dell’autorevole ospite. D’altra parte, l’attività di Dacia Maraini, da sola o accompagnata da nomi di altri eccellenti intellettuali (spicca, fra tutti, quello di Pier Paolo Pasolini), ha abbracciato la scrittura nelle sue forme più disparate: dal romanzo alla pièce teatrale, dalla traduzione alla sceneggiatura cinematografica. E la poliedricità dello scrittore deriva dal fatto che egli è «un palombaro che sprofonda dentro le acque dell'inconscio collettivo, trova degli strani oggetti e tira fuori delle cose che esistono già nell'inconscio collettivo», come risponde a un’allieva del master in critica, Federica G., alla sua domanda sul confronto tra la generazione cui Dacia Maraini appartiene e quella attuale: «perché a me sembra», ha affermato l’allieva, «che mentre prima si credeva nel cambiamento e si scriveva per cambiare la società, adesso ci sia solo apparenza: si scrive facendo credere che si vuole cambiarla, ma non è così». Per Dacia Maraini, però, non c’è molta differenza tra chi scriveva ieri e chi si trova a farlo oggi: allo scrittore spetta sempre solo il compito di costruire «la consapevolezza del cambiamento», non il cambiamento in sé, e di tradurre la scrittura in un ponte, bellissima metafora ripetuta più volte dalla scrittrice. Un ponte tra chi scrive e il mondo, affinché le parole non rimangano sospese, ma restino impresse e provino ad agire sul presente, anche. Ma forse con un occhio verso il futuro, affinché il messaggio possa camminare, nel tempo, in entrambe le direzioni.
Imma Amitrano, Livia Filippi, Marta Gentilucci, Renata Savo 28/12/2015