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"No photographs meant no history": la vita nelle foto di Manu Wino

Lunedì pomeriggio (16 novembre) ho contattato Manu Wino, il fotografo che dalla sua pagina Facebook ha messo a disposizione le foto della serata al Bataclan, a Parigi, prima dell’attentato. Dopo poco mi è arrivata la cartella con tutte le foto, contemporaneamente diffuse sul web anche dalle varie testate giornalistiche. Le ho guardate ad una a una, ho fissato gli sguardi dei ragazzi della prima fila, intenti a fotografare e riprendere il concerto, o con le mani alzate. Eppure quelle foto piene di vita e di libertà in poche ore si sono trasformate nel simbolo di un tragedia. Non ho resistito alla tentazione di fargli una domanda e istintivamente gli ho chiesto: «come riuscirai a fotografare ancora, dopo venerdì?», lui mi ha risposto: «non voglio aggiungere altro, tutto quello che c’era da dire è stato già detto» . Subito mi sono pentita e vergognata per non aver rispettato il suo dolore, per aver oltraggiato il suo gesto. Ma la sua risposta era chiara. È vero, tutto quello che c’era da dire è stato già detto! E non mi riferisco alle notizie che circolano in maniera ossessiva da venerdì, ma al potere e valore iconografico di quelle foto.
Quelle fotografie racchiudono tante storie, anzi tutte le storie di chi era lì, di quelli che sono arrivati prima per essere sotto al palco, degli studenti che aspettano il venerdì e di tutte le altre vicende che verranno fuori in queste ore. Durante questa settimana guardando sul web non sono state diffuse le foto dei corpi senza vita, perché con grande pudore è stato vietato di fotografare tutto questo; solo una foto della sala del Bataclan con alcuni corpi a terra si è diffusa ma in poche ore la potenza espressiva e inconsapevole delle foto di Manu Wino ha prevalso.
Quando si comincia a fotografare la prima cosa che fa il fotografo è scegliere cosa sottrarre dal tutto. Manu Wino aveva scelto la vitalità dei giovani e la gestualità del musicisti. Allora ho pensato alle parole pronunciate da Joel Meyerowitz, fotografo di grandissima fama statunitense, a proposito della sua retrospettiva “Taking my time” in mostra a Milano nella galleria d’arte contemporanea Area35 : «il movimento è tutto per me, è la vita stessa, traccia il momento che scompare, e, insieme al Tempo, è l’essenza dell’esperienza fotografica. Più di ogni altra cosa è la ragione per cui ho cominciato a fotografare 50 anni fa... Il movimento è inteso come istante effimero, gioioso, tragico, che cattura l’occhio del fotografo e diventa il cuore di ogni scatto».
Proprio Joel Meyerowitz aveva catturato dalla finestra del suo ufficio ogni movimento di luce e riflessi, immortalando la skyline di downtown Mahattan dal 1981 fino al 7 settembre, giorno in cui senza saperlo scattò l’ultima foto alle Torri Gemelle. Quelle foto hanno custodito venti anni di vita newyorkese, e proprio per questo motivo, con grande determinazione fece di tutto per ottenere i permessi per fotografare quello che restava di Ground Zero. «No photographs meant no history» senza le sue 8000 foto raccolte nel monumentale Aftermath non avremmo avuto la storia del lentissimo lavoro dei vigili nei mesi successivi e le conseguenze dell’attacco alle Torri.
Forse ha pensato questo Manu Wino quando ha deciso due giorni dopo l’attacco al Bataclan di diffondere quelle foto, ritirando i diritti. Senza le sue foto non avremmo avuto quelle storie.

Gerarda Pinto 21/11/2015