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Il mestiere della semplicità: un invito alla riscoperta di Ermanno Olmi

«La semplicità è la necessità di distinguere sempre, ogni giorno, l'essenziale dal superfluo». Un addio, ad esempio. Gli addii non sono mai una cosa semplice. Ma sicuramente essenziale. Almeno per quelli che ci hanno voluto fare del bene, per proseguire con altrettanta semplicità. 

ermanno olmi 1

Si spegne il 7 maggio all'età di 86 anni all'ospedale di Asiago, Vicenza il regista bergamasco Ermanno Olmi, uno dei personaggi più importanti della cinematografia italiana degli ultimi sessanta anni: cantore delle piccole cose, e delle grandi, innovatore, sperimentatore. Il primo lungometraggio è stato Il tempo si è fermato, del 1959, cinquantanove anni fa.

Sempre attento a trasportare un messaggio di pace, da vero cristiano e cattolico, diversità che ha sempre voluto far ritornare uniforme, vera e pura nella sua persona e nel suo cinema, Olmi ha dettato dei canoni di stile sempre vicini ad un certo carattere etico, oltre che estetico, come se anche qui si fosse cercato di uniformare i due aspetti. I grandi miti della tradizione cristiana, i racconti di paese, le leggende e le storie più autentiche sono state riprese con mano affascinata, appassionata e sempre meticolosa, mai banale o superficiale. Una mano sempre attenta a risultare vera, semplice e per questo altrettanto significativa e poetica.

Un rispettoso ed ossequioso saluto riporta in mente in primo luogo il messaggio contenuto nel suo lavoro. Potrebbe essere tempo dunque di riscoprire i grandi capolavori come L'albero degli zoccoli del 1978, forse il lavoro più importante del regista, premiato con la Palma d'Oro al festival di Cannes e il premio Cèsar al miglior film straniero, o il più recente Il mestiere delle armi del 2001, e -perché no?- riscoprire soprattutto i film che sono rimasti chiusi in un certo silenzio, che ora diventa silenzio reverenziale, come quello con Paolo Villaggio del 1993 su un racconto di Dino Buzzati, Il segreto di bosco vecchio, o ancora un lavoro come Tickets, che lo vede schierarsi al fianco di altri mostri sacri come Ken Loach e Abbas Kiarostami.

ermanno olmi 3Un mondo -quello del cinema del regista "manzoniano", come si è detto spesso- popolato di gente comune, di dialetti, ma anche di viaggi nei luoghi e nella storia, nella tradizione, nella religione. Tutto sempre con quell'intimismo che ha da sempre contraddistinto il personaggio di Ermanno Olmi, ritiratosi dalle scene per un periodo a causa della sindrome di Guillain-Barrè, che non seppe però -e fortunatemente- fermare l'estro del self made man che da Bergamo e poi Treviglio era arrivato alla Milano degli "sciuri", da vero ragazzo della Bovisa, e aveva imbracciato una macchina da presa. Un cinema fatto a poco a poco, e così come è nato andrebbe piano piano riscoperto, con l'affetto e la dedizione che si riserbano a coloro che ci hanno insegnato qualcosa.

Mai intellettualismi fini a se stessi, mai pose televisive e raffinati simposi auto-celebrativi, ma un cinema autentico e personale di cui -si spera- poter riscoprire, ancora una volta, il valore e la vera fede.

Davide Romagnoli 07/05/2018