Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

Print this page

La mafia non esiste: il grido unanime da La Sapienza

"Io voglio fottermene, io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda, io voglio urlare."
Così gridava Peppino Impastato quarant’anni fa e così grida oggi l’Università La Sapienza di Roma. Il workshop “Le mafie negate, le mafie svelate”, organizzato dal Dipartimento di Storia dell'Arte e Spettacolo, prevede infatti una serie di incontri, diretti dal professore Luca Ruzza, con l’intento di sensibilizzare i giovani sull’argomento.
Lunedì 11 aprile, giornata dedicata al tema “La rappresentazione delle mafie”, ha visto protagonisti Giancarlo De Cataldo, Pif (Pierfrancesco Diliberto) e Lirio Abate. Inevitabile, per tutti, non iniziare spendendo qualche parola (critica) nei confronti di una delle interviste più discusse degli ultimi tempi, quella di Bruno Vespa a Salvatore Riina. Come ha spiegato anche Roberto Saviano a “Che tempo che fa”, nello studio di “Porta a Porta” è avvenuto, sotto gli sguardi muti di migliaia di telespettatori, una vera e propria affermazione del potere mafioso.
Mafia, Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Sacra Corona Unita, Camorra: ognuna ha il suo specifico linguaggio, un proprio modo di comunicare, fatto di gesti, simboli ma soprattutto silenzi. Chi conosce la malavita lo sa e sa che per questi clan la comunicazione è tanto importante quanto naturale, anche per chi si trova recluso in carcere, sottoposto alle severe restrizioni della 41bis. Così, come da dietro le gabbie del tribunale di Palermo i Brusca riuscirono a concordare a distanza la loro strategia difensiva, con la stessa mimica facciale Salvo Riina ha lanciato un preciso messaggio al padre detenuto, alla magistratura e all’intera popolazione. La mafia vive e non ha paura.
Per questo nei film di Pif e di Marco Tullio Giordana (non presente all’incontro per impegni lavorativi), nel giornalismo d’inchiesta di Lirio Abbate, nei libri e nella condotta di Giancarlo De Cataldo, l’intento primo è sempre quello di rappresentare le mafie per poterle riconoscere.
Perché i primi mafiosi, quelli più pericolosi, quelli che favoreggiano la malavita e la sopravvivenza della criminalità organizzata, siamo noi. Siamo noi quando non riusciamo a distinguere quello che abbiamo sotto gli occhi, quando non sappiamo dare un nome a un crimine, quando tacciamo, quando lasciamo che la noia o il disinteresse o la maledetta indifferenza peculiarmente italiana guidi le nostre non-azioni o le nostre non-parole. «La Sicilia ha bisogno dell’Europa e l’Europa ha bisogno della Sicilia» diceva l’onorevole Salvo Lima nel 1980. E, nonostante tutto, è vero, oggi più che mai, perché nonostante sia una delle regioni più complicate del nostro Paese, rappresenta un porto sicuro per molti rifugiati in fuga. Così, allo stesso modo, la polizia, la magistratura, le associazioni volontarie hanno bisogno di noi per combattere la mafia e il primo supporto che possiamo offrire loro è la consapevolezza. Un dovere civile, culturale ed umano che non può essere ritenuto più solo un suggerimento, ma un insegnamento implicito e fondamentale per la crescita morale di ciascuno.
Questa è la vera crisi che sta investendo i nostri tempi: la paura e la fatica di fare la cosa giusta.

NOma, app per ricordare le vittime di mafia: https://www.nomapalermo.it/ 

Elena Pelloni 14/04/2016