CASOLE D'ELSA – “Come un nulla senza possibilità, un nulla morto dopo la morte del sole, come un silenzio eterno senza avvenire, risuona interiormente il nero” (Vasilij Kandinskij).
Lasciate ogni speranza voi ch'entrate. Poteva essere questo l'incipit dell'edizione zero del “Borgo Nero”. The dark side of the moon. La fantasia e la creatività di Luciana Calamassi, anima di Casole d'Elsa e già ideatrice del “Praesepium” (sempre a Casole a gennaio), ha messo in moto un meccanismo che prendeva forma attorno al concetto di nero e di buio. Già il sociologo Marshall McLuhan diceva che “se ci mettiamo a parlare in una stanza buia, le parole assumono improvvisamente nuovi significati”. Ed è proprio così, tutto s'amplifica, cambia sostanza, diventa misterioso, rarefatto, imprendibile, incerto. Anche la vista, sulla quale facciamo ogni giorno affidamento per certificare e decodificare la realtà, vacilla, deve mettere a fuoco, perde i contorni, tenta di dare spiegazioni. Un tunnel ci porta in città. Duemila di metri quadrati di stoffa nera utilizzati per ricoprire la cittadina nel senese, quasi un omaggio all'artista Christo, e della sua “Land Art”, che “impacchettò” e imballò, tra gli altri, il Reichstag berlinese, un celebre ponte parigino così come delle isole.
Il buio della realtà si fa metafora e specchio con il nero pece dell'anima e con quel periodo storico, il Medioevo, caratterizzato da superstizioni e maghi, paure e artifici d'alambicchi e pozioni proprio per sopperire alla mancanza di conoscenza e di scienza. In tre giorni (dal 20 al 22 luglio) Borgo Nero ha totalizzato 5.000 presenze. Ma è anche vero che “nell'oscurità l'immaginazione lavora più attivamente che in piena luce” così come scrisse Immanuel Kant. “Il nero è un colore in sé che riassume e consuma tutti gli altri”, profetizzava Henri Matisse. Come un abisso, come un vortice oscuro, come un buco nero disperso nell'universo che tutto attrae e fagocita e inghiotte, siamo trascinati da cortei e processioni, da boia incappucciati avidi di Inquisizione e di streghe da bruciare.
Ci passa accanto anche la Sposa cadavere in un mix tra la rievocazione e il tunnel degli orrori. Anche le musiche inquietanti contribuiscono con il loro carico di pathos ed enfasi mentre le fattucchiere sciamano, i fumi d'incenso crescono e confondono, i canti religiosi e le preghiere ammantano. Un senso di morte cala; nei piccoli cortili come nelle piazzette che si aprono in Casole s'affollano teschi e scheletri, armature e gabbie, gogne e pire, grate e ragnatele, pipistrelli e prigioni. Eccezionale il Minotauro. Ci ha ricordato, per il susseguirsi di performance, il “Mercantia” a Certaldo. Sarebbe stato interessante e ancora più magico e intenso se fosse stato detto anche al pubblico di vestirsi in nero per creare un effetto ancora più stordente e ambiguo, tra incubo e realtà. Ci affacciamo in un cimitero, prendiamo parte ad un funerale, le luci deformano i volti, i sorrisi diventano ghigni, tutto prende un'aria più tetra e lugubre, i chiaroscuri sottolineano le orbite, ingigantiscono le rughe, rendendoci tutti, comparse e pubblico, anime perdute dell'Inferno dantesco, spiriti in cerca di perdono, di una carezza, di pace. “Se in una notte nera una formica nera passa su una pietra nera Dio la vede”. (Proverbio arabo)
Tommaso Chimenti 24/07/2018