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Addio a Ermanno Rea, giornalista e scrittore di un’Italia oscura e complice

L’ennesimo lutto artistico di questo 2016 particolarmente funesto colpisce Napoli e la sua tradizione letteraria. Ermanno Rea era un’importante penna partenopea che ha firmato numerosi editoriali e intense inchieste tra riviste e quotidiani. Nato nel 1927, Rea era principalmente uno scrittore che attingeva dalla cronaca per raccontare le più reali atmosfere del giallo, ricorreva a una documentazione puntuale per tessere trame avvincenti e costruire psicologie ancorate alla vita reale.
Ermanno Rea era un intellettuale autentico, uno di quei pochi che non aveva bisogno dei salotti televisivi per attestare il proprio spessore culturale. In una video-intervista per il web aveva affermato che “il più grande male dell’Italia è la sua disunità”, era stato anche nella lista Tsipras candidata al Parlamento Europeo. Era di sinistra, anzi era un punto di riferimento per la sinistra intellettuale. La comunità letteraria lo aveva insignito del Premio Viareggio nel 1996 per un noir interessantissimo e avvincente: "Mistero napoletano". Poi, nel 1999, aveva vinto il Campiello con "Fuochi fiammanti a un’hora di notte" e nel 2008 era stato nella cinquina dei finalisti al Premio Strega con il romanzo "Napoli ferrovia".
Rea si è spento la mattina del 13 settembre nella sua casa romana, ci ha lasciato tredici romanzi intrisi di cronaca italiana e delicato artificio letterario. A metà tra Luciano Bianciardi e Scerbanenco, Ermanno Rea prendeva ispirazione da storie napoletane, padane o comuniste per romanzare il lato oscuro e complice degli italiani.

Susanna Terribile 13/09/2016

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