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“La pratica del canto lirico in Italia”: patrimonio culturale immateriale dell’Umanità

Lo scorso dicembre l’Italia ha celebrato l’iscrizione dell’Arte del Canto Lirico nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO. E proprio in occasione di questo riconoscimento, lo scorso 7 giugno Rai 1 ha trasmesso in diretta e in mondovisione un evento speciale dall’Arena di Verona. Un grande concerto realizzato dal Ministero della Cultura che ha riunito alcuni tra i migliori interpreti internazionali dell’Opera, accompagnati da una grande orchestra di 160 elementi e un coro di 300 artisti, con la partecipazione straordinaria del Maestro Muti. Il programma della serata ha ripercorso alcune delle pagine più note della produzione operistica italiana: da Puccini a Rossini, da Verdi a Mascagni fino a Giordano e Leoncavallo.

Questo prestigioso riconoscimento sottolinea l’importanza e la rilevanza culturale del canto lirico, un elemento essenziale della tradizione musicale e artistica italiana. Il cosiddetto Belcanto è infatti un termine di origine italiana, riferito in modo più generale all’arte e alla scienza della tecnica vocale che si è affermata alla fine del XVI secolo. L’opera lirica ha dunque radici profonde nella nostra identità culturale e ha influenzato in modo significativo la musica e le arti performative a livello mondiale. Le opere di alcuni dei compositori più celebri della storia, come Verdi, Puccini o Rossini, sono eseguite ancora oggi nei teatri di tutto il mondo e sono diventate simboli universali della cultura italiana. Questo riconoscimento dell’UNESCO rappresenta anche un tributo agli artisti, musicisti, compositori e insegnanti che hanno contribuito a mantenere viva questa tradizione nel corso dei secoli. Ora l’opera, come noto, è molto più di una semplice espressione musicale: è una forma d’arte che abbraccia poesia, teatro e musica, creando un’esperienza estetica ed emotiva unica. Già Wagner nel 1851 aveva teorizzato nel suo Oper und Drama il concetto di Gesamtkunstwerk, ovvero di “opera d’arte totale”, nel quale descriveva la sua idea di unione fra opera e dramma e auspicava la nascita di un’arte libera da schemi e convenzioni, in cui parola, musica e arte drammatica risultassero fuse in una unità. Oggi, nella messa in scena dell’opera, ai cantanti, orchestrali e musicisti si uniscono anche varie maestranze e settori professionali, che includono la regia, la scenografia, il design, l’acustica, il trucco e la sartoria.

Questo riconoscimento non rende omaggio soltanto al passato glorioso dell’opera lirica italiana, ma evidenzia anche l’importanza della trasmissione di questa tradizione alle nuove generazioni. Le scuole di musica e i Conservatori italiani giocano un ruolo cruciale in questo processo, formando giovani talenti che continuano a portare avanti l’eredità dei grandi maestri del passato. Ma può oggi l’opera italiana, con la sua lunga tradizione, avvicinarsi a dei linguaggi più contemporanei? Può, in definitiva, raggiungere e parlare ad un pubblico più giovane? E come il linguaggio dell’opera può inserirsi nella nostra contemporaneità, così rapida e mutevole? Di primo acchito sembrerebbe che le giovani generazioni rimangano per così dire “sorde” al linguaggio dell’Opera, che tuttavia racconta e mette in scena emozioni universali dell’animo umano. Se consideriamo, però, il forte aumento degli iscritti registrato negli ultimi anni nelle scuole ad indirizzo musicale e nei Conservatori, non è certo l’incapacità di “sentire” o di capire la musica di qualità che ne giustifica la lontananza. L’Opera utilizza un linguaggio musicale forse più semplice di certa musica familiare ai ragazzi di oggi, consumatori di linguaggi comunicativi più evoluti e complessi. Allora l’attenzione si sposta sulla modalità propositiva e di fruizione dell’Opera lirica che, evidentemente, non è accattivante e manca di quella forza comunicativa atta a suscitare interesse per i giovani. In tal senso, sono state svolte di recente delle indagini che confermano questa considerazione, ed è risultato che le ragioni di tale distanza non sono ne la lontananza nel tempo ne la difficoltà di linguaggio dell’Opera in sé. Anche oggi si scrivono opere e si apprezzano lavori letterari o artistici del passato, ma manca un autentico approccio conoscitivo, scevro da pregiudizi, sia del genere quanto della cultura del teatro. Andare a teatro non è una consuetudine culturale, ne un momento riconosciuto come rituale e collettivo, educativo o “politico” nel senso proprio del termine, bensì qualcosa di straordinario, proprio della vita intellettuale o legato a uno status sociale ed economico distante per preconcetti socio-culturali. L’Opera, dunque, è per così dire “disertata” dal grande pubblico e dai giovani, salvo poi riscuotere grande consenso quando è assaggiata in contesti estemporanei: si veda la notorietà di singoli cantanti d’opera portati alla ribalta dai media, o l’utilizzo di arie d’opera negli spot pubblicitari grazie ai quali tutti, anche i più giovani, conoscono almeno un’aria composta dai grandi compositori, ma senza saperne riconoscere il contesto. E dunque, come rendere “attraente” l’Opera nella sua autenticità? Partiamo come sempre dalla scuola, in cui la musica da tempo, per scelta dei nostri legislatori, gode di scarsa considerazione. Una prospettiva potrebbe consistere nella realizzazione di laboratori dove gli allievi possano suonare, cantare, recitare o redigere copioni, anche con il supporto dei nuovi media. Oppure facilitare incontri con attori, registi, musicisti, cantanti, scenografi e addetti ai lavori anche in spazi teatrali, per scoprire la vita dietro le quinte e toccare il teatro dal vivo. O ancora, assistere allo spettacolo per vivere le storie semplicissime e avvincenti che l’Opera propone con i racconti di vita quotidiana, le trame elementari che parlano di amore, guerra, tradimento, vendetta, amicizia o lealtà, ma anche di equivoco e di beffa, come avviene nei film o nei programmi televisivi, ma sicuramente più emozionanti per l’intreccio di parola poetica e musica. Questa è la cifra dell’Opera, una cifra che è sinonimo di immediatezza, poiché l’Opera è nata in origine proprio per il popolo. Da anni ormai, invece, si è allontanata dalla gente, trasformata in un genere più elitario. Inoltre, l’eccessiva attualizzazione di regie contemporanee (definite spesso “visionarie”), fino allo stravolgimento di trame, personaggi e finali si sono rivelati spesso un boomerang negativo, che non ha reso un buon servizio a questa Arte. A ciò si aggiunge, alle volte, l’eccessivo prezzo del biglietto o la richiesta di un particolare abbigliamento. Andare a teatro, invece, deve diventare semplice ed economico, e l’Opera deve essere portata anche fuori dai “luoghi sacri” preservandone la qualità, nelle piazze o nei piccoli centri. L’Opera dovrebbe pertanto essere ricondotta alla propria genesi, e cioè tornare ad essere un’Arte per tutti.

Le celebrazioni per questo riconoscimento dell’UNESCO si sono svolte in tutto il paese, con concerti, conferenze e spettacoli che hanno coinvolto tanto i professionisti del settore quanto il pubblico generale. Queste iniziative hanno avuto anche l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di preservare e sostenere questa forma d’arte, con l’intento di riaffermare il valore del canto lirico come parte integrante del patrimonio culturale mondiale. L’opera, tuttavia, non ricopre soltanto un ruolo fondamentale nel riconoscimento della nostra tradizione culturale, ma ha proprio una sua funzionalità nella crescita e nella formazione di una società, nella quale la nostra politica culturale dovrebbe investire. È nota la metafora dell’orchestra come società ideale, e già in alcune occasioni pubbliche, nel 2016, due noti direttori come Muti e Pappano l’avevano utilizzata per analizzare i mali della nostra società e proporne i rimedi. L’orchestra, attraverso lo “strumento” più coinvolgente possibile, ovvero la musica, forma l’individuo proprio in relazione alla collettività, al rispetto delle regole e dei ruoli. La musica d’insieme, di cui l’opera lirica si nutre, non è solo tempo e spazio, note e pause, gioco e svago, ma anche e soprattutto sacrificio e duro lavoro, per far si che il lavoro individuale funzioni nel “tutti”. E questo è stato anche uno dei lasciti di Ezio Bosso, a pochi mesi dalla morte nel 2020. Citando il Direttore,

"l’orchestra è la metafora di una società ideale, ove la partitura è la nostra Costituzione e ognuno è chiamato a travalicare il proprio ego per mettersi al servizio del bene comune, dove chi sta davanti non è necessariamente il più bravo, ma quello che può lavorare di più per e con gli altri. Dove chi sta dietro non è il più somaro, ma colui che spinge tutti insieme. Dove ognuno deve fare il suo dovere per l’esito finale, anche il pubblico, musicista silenzioso che con il suo silenzio e la sua attenzione contribuisce a creare il nostro suono, la nostra firma".

La pratica orchestrale è dunque metafora di un momento educativo unico e imprescindibile in ogni stagione della vita. L’incontro con il grande repertorio, inoltre, contribuisce alla crescita culturale di uno studente e alla formazione civica di un individuo più consapevole dei valori umani, del valore del bello e dell’arte: un cittadino attivo nella società dunque, arbiter del proprio destino.

L’opera, infine, ha un peso specifico di grande rilevanza non solo nel nostro sistema politico-culturale, ma anche in quello economico. Nonostante questo settore possa apparire residuale nell’ambito della grande industria nazionale dell’intrattenimento, il valore artistico dell’Opera è fondamentale nella costruzione di quel brand “made in Italy” che gioca un ruolo promozionale importante per il nostro Paese in tutto il mondo. Se infatti guardiamo al valore della produzione in senso stretto (ovvero la somma tra i ricavi da biglietteria e da altre prestazioni, i contributi pubblici e privati e le sponsorizzazioni), nel 2022 le 14 fondazioni liriche italiane hanno sfiorato nel complesso 531 milioni di euro. Ma se prendiamo in considerazione l’indotto economico diretto e indiretto generato sul territorio, il valore messo in movimento da questi teatri si aggira attorno al miliardo di euro, con un impatto soprattutto per le imprese del turismo delle città che li ospitano, ma anche per i fornitori e le filiere economiche a essi legati. Senza contare il ritorno di immagine per il Paese stesso e la sua cultura. Dati recenti confermano che dove c’è un teatro di lirica, c’è una ricaduta diretta e dell’indotto sul Pil. Si pensi che in Germania, dove la diffusione è più capillare, dove c’è un teatro il Pil è più alto di due punti.

Benedetta Morelli, 17/06/2024

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