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Visioni in jazz: il nuovo album del duo Gabriele Mitelli e Pasquale Mirra

Mag 23

Il gioco, come sosteneva lo psicoanalista Donald Winnicott, è sempre un’esperienza creativa e la capacità di creare momenti ludici in modo creativo esprime l’intero potenziale di una personalità. La creatività, però, non consiste soltanto nei prodotti artistici, opere d’arte, composizioni musicali. È costituita dal modo in cui l’individuo si incontra con il mondo esterno, con la realtà dalla quale attinge per trarre ispirazione e creare. Il duo “Groove&Move”, composto dal trombettista Gabriele Mitelli e dal vibrafonista Pasquale Mirra, vive l’idea della composizione musicale come un gioco misterioso fatto di movimenti, attese, cambiamenti eloquenti. La loro ultima creazione, “Water Stress”, utilizza questo approccio. Un mitellimirracoverpaesaggio sonoro ripido, composto da strutture asimmetriche che creano all’interno di una formula jazz sperimentale effetti accattivanti, imprevedibili. Un rapimento emotivo, mentale, fisico: l’arrivo in uno spazio in cui ogni movimento, passaggio sonoro, le singole parole assumono un senso che trascende l’istintività del momento e ha bisogno di una dilatazione temporale, di una riflessione a posteriori per essere concepito.
Sarebbe superfluo cercare di dare un unico significato a una concatenazione di voci, oscillazioni cromatiche, miste ad alterazioni progressive che aprono squarci di interpretazioni, oppure ai dialoghi tra linee melodiche della tromba preparata con le pulsazioni costanti delle percussioni. La musica del duo è un rimettere in discussione il nucleo sonoro al quale si arriva dopo un percorso di complesse aperture nell’universo armonico, nell’incontro tra diversi generi, paesi, linguaggi musicali distanti. Un disco in cui il viaggio è nella direzione della terra e dei suoi misteri impronunciabili. Si scende in profondità con la curiosità e il desiderio ardente di cogliere anche le più sottili sfumature capaci di richiamare la musica di un tempo antico, di un’eternità storica che si attualizza nel presente.
Le regole non sono stabilite, poiché è difficile orientarsi in un labirinto di visioni in jazz. Le uniche tracce che è possibile seguire vengono disseminate all’interno di una dimensione che è libera improvvisazione e tensione ostinata verso l’ideale. Il risultato è un suono che, dal momento originario, si sviluppa fino a sfiorare attimi di purezza e grazia inebrianti, ma che subito dopo è capace di spegnersi, tornando alla terra. La stessa dinamica si ritrova nel brano “Water Stress”, in cui la riproduzione dei rumori iniziali, simili all’acqua che scorre è interrotta, quasi sospinta in avanti, da piccole interferenze acustiche che creano situazioni di collisione sonora. Lo “stress idrico” è interrotto dalla delicatezza del vibrafono o dall’andamento sincopato della tromba, come a preannunciare un imminente cambiamento, la scoperta di una nuova direzione. La stessa elaborazione sfaccettata del pensiero musicale la si ritrova in brani come “Nibiru”, in cui mitellimirra02emerge pienamente l’uso non convenzionale degli strumenti, la necessità di ampliare le visioni e un’estetica del suono che riesca a inglobare tutti i sensi; o in “Vale la pena”, dove la linea melodica della tromba sembra voler disegnare uno zig zag di ritmi ogni volta diversi tra loro, che stimolano il corpo e la mente nell’assecondare il flusso emotivo e sonoro. Nelle composizioni originali (“Water stress”, “Oscillano”, “Nibiru”, “Vale la pena” e “Old Man”), entrambi gli artisti scompongono la struttura della composizione, rifuggono dall’asfissiante imposizione delle etichette e preferiscono l’ignoto, cioè creazioni quasi estemporanee. Le riletture, interpretazioni molto originali e “personalizzate” di brani come “Jesus Maria” di Carla Bley (jazzista americana capace con la musica di trascendere il tempo), passando per il Mingus di “Orange Was The Color Of Her Dress”, “Then Blue Silk”, “The Owl Of Cranston” di Paul Motian e “Namhanje”, un brano tradizionale sudafricano rielaborato dal jazzista Abdullah Ibrahim, in un disco storico, “Echoes from Africa”, sono invece accurate versioni interpretate con una forte carica di varietà stilistica.
Un album intenso e giocoso, profondo e leggero. Un lavoro sorretto dalla raffinata arte del vibrafono di Mirra che pone le fondamenta di una struttura dove trovano spazio le espressioni gioiose della tromba o del flicorno soprano di Mitelli. Nell’insieme si compongono schizzi sonori puri, ancestrali, custoditi nelle cavalcate istintive di ondate cromatiche. Le misteriose conversazioni musicali del duo alla fine giungono a un inaspettato punto di arrivo. Nel caos generato da un istinto conoscitivo, bisogna lasciarsi andare, bisogna concedersi a quel preciso istante di stupore che la musica ci regala. Per cogliere la bellezza di un’opera sorprendente come “Water Stress” bisogna ricominciare di nuovo, sempre dall’inizio, ad accogliere la meraviglia di un percorso sonoro costantemente rinnovato.

Serena Antinucci 23/05/2016

La cover di “Water Stress” è un’opera dell’artista Valentina Crasto intitolata “Taut”.

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