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#Rubik - “The Catastrophist”: le conseguenze del post-rock

Feb 25

I Tortoise sono il classico esempio di quei gruppi che tutti dovrebbero ascoltare. Perché?
Perché rappresentano la capacità di evoluzione e di commistione di un genere: il rock, elevato all'ennesima potenza. 
Perché sono riusciti a produrre musica innovativa e non classificabile con una singola definizione.
Perché, pur rimanendo sempre dietro le quinte del glitterato mondo delle rockstar, sono una delle band più influenti nel panorama musicale passato e attuale.
Nati a Chicago, città simbolo delle avanguardie americane, da più di 25 anni e nonostante i numerosi cambi all'organico, questa band è la sperimentatrice ufficiale di un rock in continuo divenire, influenzato in primis dal jazz ma non solo, spazia dall'ambient alla musica psichedelica, dal minimalismo al “kraut-rock” tedesco. Negli anni Novanta hanno raggiunto il loro massimo livello espressivo e di ricerca, grazie ad una vincente e calibrata mescolanza di eccellente musica live (grazie alla formazione prettamente jazzistica della band) e pre-registrazioni. Audaci combinazioni in lunghi brani strumentali, omaggi musicali rivisitati in chiave innovativa, eccentrica e a volte delirante: questa è la ricetta Tortoise.
Ricetta apprezzata anche dai raffinati palati romani, che della cosiddetta “musica d’avanguardia” sono ormai veri intenditori. Sarà per questo che gli scapestrati “chef” statunitensi sono riusciti a fare sold out nella loro ultima tappa della città eterna, affollando, sabato 20 febbraio, la sala del Monk Club.
Nessuna presentazione di rito, sguardi bassi e pochi fronzoli. Il fatto è che non ne avevano proprio bisogno. Loro hanno completamente catturato il pubblico, ipnotizzandolo per ben due ore, attraverso un’intensa e impermeabile concentrazione.
Il quintetto dell’Illinois aggredisce il palco solo dalla disposizione strumentale: due vibrafoni e due batterie si specchiano frontalmente, mostrando a noi solo il profilo di chi, a quanto pare, ha lasciato in sospeso una battaglia, giunta finalmente alla resa dei conti con l'uscita del loro ultimo album “The Catastrophist”. E i conti tornano nella musica che esplode dagli innumerevoli strumenti - percussioni, basso, chitarra, synth, tastiere effettate - e che non ha nessun sapore di convenzionale o spiacevoli retrogusti di “già-sentito”. Armonie, melodie ma soprattutto una capricciosa scansione del tempo: da quarti a terzine il passo è breve e ritrae un confine raffinato che divide il caos dall’eufonia. Nonostante la sala sia stipata, i Tortoise innescano un’irrefrenabile voglia di muoversi e ballare, probabilmente, per il semplice gusto di negartene la possibilità; perché non appena si prende il ritmo del loro “finto” progressive, sono pronti a farti inciampare sui tuoi passi, svoltando la rotta della ritmica e della componente elettronica che vi s'innesta.
Accattivanti, aggressivi e naturali: i Tortoise ripuliscono la musica dall’involucro di consuetudini e banalità, incedendo, come una Graham dell’indie rock, in un’atmosfera di “Contraction and release”.
Questo è quel tipo di musica che ti fa fare delle vere e proprie acrobazie mentali. La loro è una lunga e splendida digressione sul post-rock, o prog-rock, sui suoi arrivi, sulle sue recenti commistioni. Una riflessione sperimentale di genere.

Infine soffermiamoci un secondo ad osservare l'interessante grafica dell'ultimo album che, non a caso, si allaccia a tutto questo discorso: l'immagine che vediamo in copertina a prima vista sembra il volto di un uomo, bruttino, anche un po' deforme, diciamolo, quella bruttezza tipica da sfigato nerd. In realtà ce ne sono altre versioni ben differenti: si tratta di un calcolato fotomontaggio che avevano fatto anni prima alcuni fotografi, dopo aver scattato dei primi piani che avevano impegnato la band per un servizio fotografico. Il risultato sono degli accostamenti di parti diverse dei visi di ogni membro del gruppo, per restituire l'immagine di un volto unico. Non si erano diffuse più di tanto e quest'album ha dato l'occasione di sguinzagliare questa creatura miscellanea, sperimentale e calcolata, una magnifica riflessione visiva, in parallello alle medesime affinità concettuali che porta avanti la loro astrazione musicale. Beh, quale altro volto poteva incarnare meglio una cosa del genere?

Thank you, guys!

#Rubik Elena Pelloni, Emanuela Platania, Giulia Zanichelli 25/02/2016

 

L'immagine iniziale (qui a lato riporata in versione originale) è stata creata ad hoc dalla nostra Emanuela Palatania, che si è lasciata ispirare dalle  sonorità dei Tortoise e dalle sensazioni provate durante il concerto.

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