Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 685

Francesca Incudine è ormai pronta a ricevere sul palco del Tenco 2018, il prossimo 20 ottobre, la Targa Tenco per migliore disco in dialetto con il suo Tarakè, secondo dopo Iettavuci (2013), esordio già capace di raccogliere attorno a sé attenzioni e premi della critica. Tarakè è un altro passo deciso sul medesimo sentiero: musica tra il popolare e il fiabesco, con il primo aspetto rappresentato da ritmi spesso saltellanti e un siciliano, nel testo, onnipresente, e il secondo raggiunto da armonie corali e strumentali tipiche del folk internazionale.
Ago della bilancia, anzi, ponte solido tra i due argini è la voce brillante a suo agio nel raccogliere qui l’euforia di un “ta ra ra” e altrove nel comunicare, oltre la comprensione, le emozioni sonore di un gergo non sempre facilmente digeribile. Molte tracce, infatti, già dal titolo presentano dialettismi. Tuttavia, anche laddove non si mastichi siciliano, il messaggio musicale resta sempre integro, talvolta persino rinforzato nel suo aroma di mistico e lontananza.
È così che si arriva a comprendere il punto forte di Francesca Incudine. La sua opera non è duplice, contesa tra la Sicilia e il resto del mondo. Tarakè, al contrario, è un unicum, bagnato allo stesso tempo dall’acqua salata del nostro mare e dalla rugiada di boschi notturni, lontani, abitati da creature magiche e storie cavalleresche. Difficile non pensare a suggestioni celtiche del folk, al sopraggiungere dei flauti (“Rosa Spinusa”, “Tarakè”, “Dormi figghiu”, “Na bona parola”).
Sul resto dell’arrangiamento strumentale, la chitarra acustica la fa da padrone, incaricata pure di scandire il ritmo stesso delle tracce, a volte esclusivamente, altre volte anticipando per ordine e importanza la sezione dei tamburi (deformazione professionale dell’autrice, amante dello strumento sin da adolescente). Su “Tarakè”, che dà il nome all’album, la ritmica è tanto centrale che, quando cambia d’improvviso, dona l’impressione di aver ascoltato due canzoni diverse.
Chiudono il cerchio influenze, saltuarie ma potenti, di acoustic pop, che però in questo particolare contesto musicale più che avvicinare l’album alla scena musicale attuale, lo fanno assomigliare alle atmosfere empatiche del musical (fatta eccezione per la brevissima contaminazione di autotune, in apertura di “Linzolu di mari”). Questo avviene ciclicamente durante l’ascolto dell’intero disco, e come una profezia auto-avverantesi, diventa consapevolezza più forte in chiusura e, fortissima, nell’ultima, undicesima canzone, la gioiosa “Come fussi picciridda”.

Andrea Giovalè  

18/10/2018

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM