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Il rock non è roba per soli uomini, ed è bene gli ultimi scettici se ne facciano una ragione. La musica, in generale, è un fatto puramente di cuore, prima che di testa, e servirsi ancora di certi cliché per giustificare una discriminazione nei confronti delle donne ancora fin troppo presente ha assunto ormai le caratteristiche di un suono vecchio e davvero noioso. Ma occorre prendere posizione innanzitutto all’interno dell’universo rosa, e fare appello a tutta la solidarietà possibile fra gli addetti ai lavori per cercare di cambiare definitivamente le carte in tavola. E’ con questo spirito che Alessandra Izzo (giornalista che annovera fra le varie collaborazioni testate come Rolling Stone, Duellanti e Rockstar) ha scelto di dare vita al suo ultimo libro She Rocks – Giornaliste musicali raccontano”, rilasciato il 23 marzo scorso per la Vololibero Edizioni di Carlo Fucci.

In occasione del decennale de “Il Maggio dei Libri”, la rassegna ha voluto quest’anno arricchirsi anche della partecipazione (anche se solamente virtuale, a causa del Covid-19) dell’autrice napoletana che, in compagnia della collega Paola Gallo - già coinvolta nella realizzazione del libro – ha accettato di prendere parte a un’insolita quanto divertente intervista a tre voci, sotto la direzione di un veterano del mestiere: Massimo Cotto.

Dai microfoni dei loro pc e in diretta streaming su Facebook, i tre giornalisti hanno commentato il lavoro di Alessandra (in cui racconta la musica dagli anni Sessanta a oggi attraverso la sua personale esperienza e quella di tante grandi professioniste che militano da tempo in questo campo) ed espresso le proprie opinioni riguardanti non solo il monopolio maschile in senso musicale e giornalistico, ma anche rispetto al loro intimo rapporto con la musica stessa. Perché, come dice la stessa Izzo, “La musica è una necessità vitale, è sangue che ti scorre dentro”.

La diretta Facebook dell'intervista_Massimo Cotto_Alessandra Izzo_Paola Gallo

PAOLA GALLO: «Faccio una premessa in merito: non solo il rock’n’roll patisce il maschilismo, ma tutto il mondo in generale in ogni ambito. Considerate che anche le artiste donne sono pronte a testimoniare che a parità di mezzi sono sempre pagate meno e hanno meno opportunità. Sembra quasi che gli altri ti guardino come se stessi giocando».

MASSIMO COTTO: «Mi permetto qui di cogliere anche gli elementi comuni che caratterizzano libro: in tutti gli interventi i vari addetti ai lavori ribadiscono che il rock non è solo intrattenimento, ma anche una ragione cultura, di espressione artistica, qualcosa che solitamente tendiamo a dimenticare. Nessuno lo direbbe mai per il teatro o per il cinema, ma visto che la musica è nata per le strade allora lo si fa. Vorrei il vostro parere, a riguardo».

ALESSANDRA IZZO: «Sicuramente il rock ha questa genesi perché fa letteralmente muovere i piedi. Ma forse Frank Zappa lo avrebbe detto più per era la discomusic! Una volta ho parlato con una psicoterapeuta che mi disse: la musica è l’unica cosa che tocca le corde del cuore, perché ha a che fare col sentimento umano. “'Nu poco 'e sentimento”, come diceva Pino Daniele».

P.G.: «Rispondendo alle domande del libro di Alessandra ho sottolineto quanto il rock fondamentalmente sia un’attitudine, qualcosa che non si può interpretare o semplicemente fare se si recita. Si necessita di un certo tipo di dolore o bisogno interiore. La musica è indispensabile soprattutto in questi giorni per chi ci lavora: proviamo solo a pensare alla nostra vita se non ci fosse una colonna sonora! La musica è vita».

M.C.: «Noi tutti qui abbiamo a che fare anche con la radio. Voi con le vostre esperienze, ritenete che la radio sia ancora oggi uno strumento che può aiutare la diffusione del rock o nel cambiamento del mercato rimane penalizzata rispetto agli altri canali?»

P.G.: «La radio continuerà ad essere vincente se farà una scelta. Sono convinta che quella generalista finirà per stancare, per perdere la sua credibilità, perché purtroppo tende sempre più a scimmiottare la tv. Anche per quello che riguarda la scelta stessa delle voci! Piuttosto, vedo vincente una radio che farà una scelta rivoluzionaria: ovvero, che sceglierà un certo genere musicale di cui parlare, per tornare anche a raccontare la musica come si deve. Ci sono  già miliardi di canali che i giovani sfruttano per creare la propria playlist, per assemblare la propria musica. Ma tutto questo ha senso se c’è anche qualcuno che la musica te la racconta, che ti educhi all’ascolto».

A.I.: «Sono d’accordo con Paola, anche se credo che ci sia stato un momento in cui la radio sembrava di nuovo in auge, grazie ad internet. Ora l’entusiasmo si è smorzato. Un’altra cosa che mi ha spinto a scrivere questo libro sul rock (anche se alla fine parlo di musica), è stata una domanda: perché solitamente le donne vengono associate al pop? Per qualche strano motivo, una donna può scrivere di pop ma non di rock, anche per quel che riguarda la sua presenza scenica con una chitarra o una batteria in mano».

M.C.: «È vero, e questo vale anche per la musica italiana!. Fino all’avvento delle cantautrici c’erano solo le interpreti, ma a fare le canzoni erano sempre e comunque gli uomini. Per quanto tentassero di avvicinarsi all’universo femminile, alla fine tutto si riduceva a come gli uomini vedono le donne. Forse ora comincia ad esserci, se non altro, una dignità diversa.

Non so se il rock vi ha salvato la vita, ma sicuramente ve l’ha cambiata. Ma a questo punto vorrei chiedere a entrambe: qual è stato il vostro primo impatto con la musica? »

A.I.: «Ero molto giovane nei miei primi contatti con la musica, grazie anche a una città come Napoli e a un contesto famigliare molto ispirato. A 8-9 anni già impazzivo per i Beatles, poi con gli amici più grandi ho scoperto Frank Zappa. Per me la musica è sempre stata importante e molto formativa. Diciamo che nel libro racconto anche di come la musica può salvare le vite, una cosa in cui credo fermamente».

M.C.: «Beh, io quando io dico a qualcuno che la musica mi ha salvato la vita, di solito mi fanno “ma perché, prima avevi una vita di merda?”. Il punto è che prima la mia vita era semplice prateria, e poi improvvisamente è finita sui binari giusti. Mi ha fatto scattare quel qualcosa che mi ha fatto dire “Io voglio fare questa strada qui!”».

P.G.: «A me ha sicuramente salvato la vita, perché mi ha permesso di vivere di lei, di non lavorare neanche un giorno. Quando riesci ad occuparti della tua passione hai vinto. Già da piccola è stato importante, per me. Ricordo quando sfogliavo il Corrierino dei Piccoli, quello che facevo con il registratore, poi i giradischi. Diciamo che il mio punto di partenza sono stati i The Beatles e la fiabe sonore».

M.C.: «Di solito si dice “se rinasco, voglio essere rockstar”. Vi chiedo in chi vorreste reincarnarvi: una band, un uomo e una donna».

A.I.: «Ah, quanto mi piacerebbe! Sicuramente tra le mie scelte ci sono Rolling Stones, Frank Zappa, e Stevie Nicks! »

P.G.: Io di natura ho sempre preferito stare nel backstage, mi è sempre piaciuto più incontrarle le rockstar. Ma se dovessi scegliere un paio di scarpe e di occhi in prestito, direi gli U2, Carmen Consoli e Niccolò Fabi».

M.C.: «Allora prendo spunto da Paola. Ci sono degli aspetti nella musica e nel rock sicuramente positivi che vediamo tutti: la fama, la popolarità, la bellezza di incantare la gente, di commuoverla. Ma c’è anche la dannazione! Diciamo che considero anche gli aspetti “negativi”. 

Prima dell’ultima domanda: se non foste diventate quello che siete, cosa avreste fatto nella vita? Io, per esempio, non so fare niente: forse avrei fatto il ladro, ma mi avrebbero beccato subito perché sono goffo».

P.G.: «Io probabilmente avrei fatto la fame!»

A.I.: «Avendo sempre avuto tanti interessi sin da bambina, forse mi sarebbe interessato diventare una psicoterapeuta».

P.G.: «Beh, un po’ anche io, allora. Fare interviste ti permette di entrare nella testa delle persone, come una sorta terapia. Poi ci voglio metterei anche la mia passione per i viaggi».

M.C.: «Alessandra, la cosa più bella e la più difficile nello scrivere questo libro…»

A.I.: «La più bella è stata sicuramente mettermi in contatto con molte donne, tutte abbastanza unite, al di là della competizione. Ma ne approfitto per ribadire loro “Cerchiamo di essere ancora più solidali tra di noi, per cambiare le cose!”

Di meno bello, invece, non c’è stato nulla: il libro è stato piuttosto fortunato e mi sta restituendo tanta gioia».

M.C.: «Paola dovessi essere una canzone, quale saresti? »

P.G.: «“Io sono l’altro”, visto che ho citato Niccolò Fabi».

Jacopo Ventura, 13/05/2020

Veri ‘heavy horses’ del panorama rock/blues mondiale, ecco arrivare al traguardo dei cinquant’anni Ian Anderson e soci, ancora sotto il nome leggendario dei Jethro Tull. È decisamente un piacere ritrovarsi all’interno della cornice dell’Auditorium di Roma coi compagni della ‘vecchia guardia’, ancora legati ad un nome che difficilmente svanisce nel dimenticatoio. Anderson è infatti sempre stato considerato un po’ come un vecchio amico: un rocker, un menestrello, un teatrante dedito da sempre al verbo del rock n’ roll. L’anniversario dei 50 years of Jethro Tull ripercorre infatti, anche attraverso video che presentano commenti fatti ad hoc da ex-membri storici della formazione di Blackpoll, Lancashire nel 1967, che introducono alcuni dei pezzi emblematici di una carriera iniziata con “This Was” del 1968. Jeffrey Hammond, John Evan (travestito da daffodil inglese), Clive Bunker introducono infatti pezzi come "Dharma For One", "A Song For Jeffrey", "Heavy Horses" e altre chicche del passato ripercorrono la storia della band sui teleschermi.
Pochi sanno infatti che per un concerto il chitarrista dei Tull era stato proprio quel Tony Iommi (che Anderson ricorda essersi dopo riunito con la sua band, gli Earth, poi divenuti gli immensi Black Sabbath) e piace anche ritrovarsi Joe Bonamassa e Slash ricordare al pubblico romano alcune tra le canzonijethro tull roma 3 emblematiche della carriera di Anderson e soci, come l’intramontabile “Bourrèe in E minor” con le sue reminescenze bachiane o l’altrettanto mitica “Aqualung”, e Thick As A Brick.
Tutto l’evento è all’insegna del revival e del bel ricordo della storia della musica, e ci si può facilmente dimenticare che sul palco son presenti mestieranti, più che artisti che mettono in gioco sentimenti, passioni e cuore autentici. Ottimi musicisti, ma che tutto sommato si ritrovano essere poco più che turnisti, all’interno di un passaggio di epoca che fa vedere ancora immagini di repertorio storiche che inquadrano bene il cambiamento dei tempi.
Il nuovo Scott Hammond alla batteria, a metà tra impostazione jazz e blues rock, è pressoché immobile e decisamente poco estroverso, soprattutto se paragonato ad alcuni ricordi del funambolismo e dell’estro di Barriemore Barlow, di Clive Bunker o perfino di Doane Perry. Florian Ophale alla sei corde offre un ottimo contributo chitarristico al lotto, ma stenta, forse data l'eccessiva bravura e pulizia, a presentare un'anima folk e rock che resta solo nella chitarra e nel flauto di Anderson. Come c'era da aspettarsi, dopotutto, dato anche il fatto che il nome Jethro Tull era stato dichiarato finito nel 2014 dallo stesso flautista e ora torna, dopo meno di cinque anni, in testa alle locandine. 
E dunque forse bene così. La figura storica, i ricordi e i brani tengono testa ad una mancanza di voce, da parte del menestrello, e di effettiva partecipazione spirituale da parte della band, oltre che di alcuni inserti vocali registrati di dubbia valenza estetica e musicale. La storia del rock e della musica degli ultimi cinquant'anni passa anche da qui e il tempo gioca la sua parte in casi come questo. Sembra dunque emblematico il grande titolo "Too Old For Rock N' Roll / Too Young To Die", del famoso concept album del 1976, in tutti i suoi pro e contro.
Una posa con una gamba appoggiata sul ginocchio dell'altra, un'ombra con un flauto traverso, un soffio che sembra un ghigno beffardo nello strumento: Ian Anderson e il soffio di una locomotiva rock n'roll. Immagine indimenticabile. Passaggio obbligato per ogni rocker che si rispetti.

«So the old Rocker gets out his bike to make a ton before he takes his leave. Up on the A1 by Scotch corner just like it used to be.»

Davide Romagnoli 23/07/2018

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