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È intriso di nostalgie e venato di malinconia il nuovo album di Luca D’Aversa, "Fuori!", uscito per Do It Yourself il 19 gennaio 2018. A cinque anni dall'esordio D’Aversa torna il secondo album che, per citare Caparezza, “è sempre il più difficile nella carriera di un artista”. Ma a giudicare dalle sonorità e dalle parole, così ben confezionate, sembra che il cantautore romano abbia vinto la sfida.
Al primo ascolto l’impressione che si ricava è quella di un mix gradevole di tracce a metà fra il synth pop e le atmosfere anni Ottanta, che tanto piacciono ai fan dell'indie italiano degli ultimi anni. C’è poi un vago ricordo di Niccolò Fabi, rintracciabile nei toni pacati e nell’impostazione vocale di D’Aversa, che pure si discosta dalle tendenze della scena musicale romana, che tanto sta producendo nell’ultimo periodo.Luca dAversa 2 
Poi però basta non limitarsi a restare "In superficie", per citare una delle nove tracce, per capire che dietro "Fuori!" c’è uno studio musicale che coinvolge allo stesso modo melodie e testi. Andando oltre la banalità delle canzonette usa e getta che occupano gli spazi radiofonici per qualche mese, Luca D’Aversa si occupa con semplicità di dissezionare la vita quotidiana, le sue frenesie e i suoi inciampi sentimentali.
Prima di tutto, nel suo secondo disco ci sono eclettismo e sperimentazione, e si aprono squarci per suggestioni che ricordano un certo alternative rock britannico degli anni Zero, a-là Arctic Monkeys (si veda la intro graffiante di "Hai visto mai", che scombina qualsiasi previsione di monotonia). C’è spazio anche per accenni potentemente lirici: sono negli archi, che aprono e chiudono voluttuosamente "Ora", una melanconica analisi sul pentagramma dei propri limiti, che sembra già da sola la colonna sonora ideale di un road-movie alla ricerca di se stessi.
D’Aversa sa toccare con delicatezza diversi argomenti, ma lontano dall’aggressività volgare con cui troppo spesso una relazione complicata o ormai finita diventa il pretesto per mettere in versi minacce e insulti. Accade così in un pezzo come "Non Voglio", dove il cantautore romano si misura con un amore che lo consuma, di dubbi, domande e situazioni in bilico, lasciando trasparire con grazia l’impotenza e la voglia di reagire.
Un album estremamente vario, che si apre e si chiude in due modi diametralmente opposti. Da un lato, infatti, c’è "Lasciati sorprendere", un inno a lasciarsi andare oltre la frenetica monotonia di ogni giorno, per tornare a vedere il mondo a colori: un pezzo trascinante, dalle venature rock, supportato da un canto energico e liberatorio. Dall’altro c’è "Le stelle rimbalazano", ballata visionaria e malinconica che somiglia quasi a una buonanotte da fiaba, sospesa a metà fra le stelle che rimbalzano e la neve, che scende a fiocchi lenti, congelando ogni cosa, anche il tempo. La migliore exit music, per un album eclettico, piacevole e ben calibrato.

Ilaria Vigorito 29/03/2018

 

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