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Willie Peyote presenta in anteprima il suo nuovo singolo, “L’effetto sbagliato” – prodotto da Frank Sativa con artwork a cura di Ebltz - al concerto che lo ha visto protagonista giovedì 5 luglio a Villa Ada Roma Incontra Il mondo: l’occasione giusta per condividere per la prima volta con il suo pubblico un brano che si prospetta sin da subito un successo; la musica del rapper torinese riesce a essere tanto comunicativa da coinvolgere persone di tutte le età che dalla prima all’ultima canzone in scaletta hanno ballato e cantato, in una serata straordinaria sotto il cielo di Roma.Willie_Peyote_1

Quanto più difficile sembra riuscire a parlare di certe tematiche attuali, tanto più semplice invece lo è per Willie Peyote, che ha sempre dato spazio, nelle sue produzioni artistiche tra rap e cantautorato, alla verità dei fatti attraverso poesie moderne, vere, ironiche. Canta e le canta, in pratica, senza teorizzare nulla. La sua onestà intellettuale infatti risiede proprio in questo: nel raccontare l’aria che tira, quando in questa società è forte il rischio di essere travolti da un vento di ignoranza e di finto buonismo e perbenismo; essere controcorrente dunque non è scontato, se lo si è nella maniera giusta e concreta.
Portapalazzo”, “Ottima scusa”, “C’era una vodka”, “Willie Pooh”, “Metti che domani”, “I cani”, “Le chiavi in borsa” sono solo alcuni dei brani eseguiti da Willie insieme alla sua gente, la stessa che non si è mai stancata, neanche per un minuto, di condividere ogni istante del live. A determinare ancor di più la qualità del concerto sono stati i musicisti che, sul palco, hanno saputo dare maggior forza alle canzoni del rapper attraverso la loro tecnica da professionisti in grado di valorizzare, dal primo all’ultimo minuto, l’intera esibizione.
Tutte le date del tour “Ostensione della sindrome” vedono costantemente una grande partecipazione di pubblico, di occhi attenti e di voci che non si stancano, ma continuano a cantare, urlando riflessioni intelligenti che ora hanno vita propria e forza nelle parole di brani che rimarcano i sentimenti dei nostri tempi; quelli dell’arroganza e dell’odio, dunque, ma anche della chiusura mentale e reale su eventi le cui cause hanno un nome e un cognome e le cui conseguenze, nel frattempo, sono devastanti. È in questo contesto fatto di colpevoli che si travestono da vittime, che si fa sentire forte la musica che fa bene, che fa riflettere, risvegliando i pensieri che prendono maggior coraggio. La formula giusta per trattare determinate tematiche, dal razzismo alla chiusura di spazi culturali, dai rapporti umani di vario genere alla nostra dipendenze da vizi in un mondo in cui si crede ingenuamente di poter essere virtuosi con poco, è la semplicità della scrittura critica, caratterizzata da parole dure e a volte leggere, ma mai banali.
A Villa Ada è stato così possibile vedere persone urlare quelle riflessioni scomode per chi tenta di creare muri di intolleranza, a chi dunque “parla di equità” e “parla di onestà”, riprendendo le parole del brano “Io non sono razzista ma…”.
Un ritratto, quello del concerto a Villa Ada, della sana speranza che, se un tale pubblico continua a crescere, forse con un linguaggio artistico diretto come quello di Willie Peyote è possibile abbattere barriere e frontiere, così come la demenza dell’attuale politica d’odio. Questa stessa speranza vivrà nella voce che, da Torino, sta incontrando il mondo; negli occhi che vedono e criticano la società con le sue imperfezioni, per amarla e farla amare nella sua bellezza.

Lucia Santarelli 07/07/2018

Sembra difficile, a quindici anni di carriera, parlare dei Ministri come una band poco credibile. La band di Dragogna, reduce dallo scarso "Cultura Generale" del 2015, album piuttosto scialbo di idee ed eccessivamente ammorbidito a livello sonoro (con quei tentativi mal riusciti di riferirsi ad un pubblico diverso da quello che già si ha), riesce, con l'ultimo "Fidatevi", a sfornare invece un lavoro abbastanza convincente per riportarsi ad un livello di nuovo degno del loro passato e di nuovo in grado di entusiasmare i vecchi fan.
Nello spettacolo all'Atlantico di Roma, territorio che Dragogna e soci hanno sempre calcato con dignità e passione, fin da quando (come viene detto on stage) c'erano solo un 'manipolo di manigoldi' a sentire il loro primo concerto capitolino, viene quasi dimenticato del tutto il passo falso in questione -ad eccezione della riuscitissima "Idioti"- e prediletto naturalmente il nuovo "Fidatevi".

ministri fidateviDal vivo i nuovi pezzi convincono quasi nella loro totalità, riuscendo ad essere efficaci e godibili senza essere eccessivamente scontati. L'iniziale "Spettri", insieme con "Crateri", presenta uno dei lati simbolo dei milanesi: testi legati specificatamente ai tardo-ventenni, pattern ritmici serrati, break intensi, offrendo una prova di Divi sempre all'altezza della situazione. È forse proprio Autelitano a sembrare ancora una volta il vero motore intrigante della band, potente e mai eccessivamente banale nel rapporto col pubblico, prendendosi sul serio quanto basta (anche senza sembrare "matusa", come tiene a sottolineare quando viene celebrato il passato della band), anche con delle scarpe rosse che seguono una (terribile) moda del tempo, probabilmente anacronistica per gli over-25. Soprattutto se i riferimenti citati dalla musica sono quelli dei Beastie Boys, come "Fight For Your Right" durante la tirata "Diritto al tetto" e poco prima di "Abituarsi alla fine".
Tra i pezzi migliori della serata non si può certo dimenticare l'evergreen della band, "Comunque", simbolo di una generazione di precari, universitari e disoccupati, così come "Il bel canto", sicuramente meno rabbiosa dell'orginale in studio, fatta per essere più cantata dal pubblico, intento a sorreggere lo stage diving del frontman. Buona prova anche per il nuovo singolo "Le vite degli altri", ben oliato nella setlist e capace di raffigurare i nuovi tempi che corrono per la band milanese, fortunatamente non così bui come ci si ricordava.

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Dragogna e soci sfoderano movenze da Motley Crue, ma tutto sommato l'efficace intensità della band porta ad uno scuotimento generale sotto palco che è già di per sé sintomo del bisogno che in questo paese ci sia bisogno di gain alzati, feedback e corde vocali ancora tirate. Se non altro per uscire da quell'oblio semi-cantautorale fatto di un'intimità standard e rivolto a generazioni create a tavolino.
Sembra quindi opportuno ritrovare fiducia in una delle band che può ben definirsi significative nel rock -ancora vero- dello Stivale.

Davide Romagnoli, 15/04/18

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