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È una serata cominciata sotto i peggiori auspici, quella di sabato 16 marzo al Parioli Theatre Club. La notte dei Beatles, concerto spettacolo dedicato agli eterni ragazzi di Liverpool, comincia male ancora prima di cominciare, con file interminabili per entrare in sala, e il consueto ritardo a cui ci ha ormai abituato questo bel teatro, ma su cui dovrebbe seriamente lavorare. La serata, prevista alle ore 21.00, inizia alle 22.00 passate, nell’impazienza e nervosismo da parte di famiglie con bambini al seguito, portati in pellegrinaggio dai genitori per assistere alla musica della loro infanzia. Quando finalmente la serata comincia, dopo la prima breve carrellata di canzoni suona l’allarme antincendio, che disturba l’intervento di Martino Pirella, membro de I Beatles a Roma, che presenta il concerto tracciando la storia dei Fab Four.
La serata, a questo punto, senza considerare l’altresì considerevole ritardo, è iniziata da meno di dieci minuti e già non convince: alla sua prima apparizione, a sipario ancora chiuso, Martino Pirella si lancia in un’improvvisata rievocazione, in prima persona, della prima volta che John Lennon provò l’LSD. Divertente aneddoto, senz’altro, che diventerà però il leitmotiv della serata, trasformando la storia dei Beatles in una carrellata di episodi connessi all’uso di droghe, dipingendo i quattro (che pure non erano angeli) come i peggiori consumatori di sostanze degli anni Sessanta. Una lettura piuttosto riduttiva e pressapochista della storia del gruppo: per quanto la connessione fra Beatles e droga fosse stretta, c’era molto altro da dire, senza volersi per forza accanire su questo argomento.
Gli interventi di Pirella, anche quando non ossessionati dalla storia dei Fab Four con la droga, rischiano di dimostrarsi spesso sottotono. L’impressione è che il presentatore improvvisi senza seguire un vero e proprio canovaccio, rischiando così di presentare un racconto non eterogeneo; si ha la sesnazione che indugi spesso su dettagli biografici personali che potevano essere trascurati, che nulla hanno a che vedere con la storia della band. Storia che non viene narrata, se non a tratti tra una canzone e l’altra, inframezzati da ricordi personali e l’onnipresente droga.
Per quanto riguarda l'esecuzione musicale, da menzionare la versione di Strawberry fields forever e il medley iniziale fra Tomorrow never knows e Within you without you; abbiamo capito poco il senso di The end dei Doors a fare da ponte. La band, seppure di ottimo livello e caratterizzata da un ottimo equilibrio, non riesce a coinvolgere il pubblico, che si lascia andare a timidi e tiepidi applausi. Ci aspettavamo una maggiore ricercatezza, soprattutto nella pronuncia e negli arrangiamenti, forse troppo scarni; da menzionare comunque la prova di Simone Mariani, il frontman, che non ha mai peccato di energie e vitalità.
Altranota positiva della serata, la bella mostra di memorabilia beatlesiani esposta nel foyer del teatro, a cura di Gianpietro D’Ercole. Monumenti che ci ricordano che se abbiamo voglia di Beatles, forse è meglio sentirli su Youtube, almeno per stasera.

Giulia Zennaro, 17/3/2019

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