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Dopo i singoli “Concedetemi un giorno” e, esclusivamente su YouTube, “sConosciuti a Milano”, venerdì 22 marzo esce su tutti i digital store RUVIO, il primo album omonimo del cantautore che inaugura le produzioni di Non è mica Dischi, etichetta nata dal concorso "Non è mica da questi particolari che si giudica un cantautore", col supporto di Noteum Srls.

Il primo album di RUVIO nasce dalla necessità di raccontare il battere incessante dei tempi moderni, in cui la volontà di essere se stessi va di pari passo col bisogno di sentirsi diversi. La tracklist, nella quale sono contenuti i due singoli “Concedetemi un giorno” e “sConosciuti a Milano”, si compone di 8 brani che tracciano un percorso à rebours nei ritmi e nelle sonorità. Affrancato dalla ricerca di una nuova estetica musicale e linguistica, questo disco d’esordio del giovane cantautore, ingegnere e ricercatore universitario si propone come una sorta di lungo ritornello, talvolta un po’ scanzonato, che coniuga densità e pensosa leggerezza.Alessandro Ruvio

Il disco omonimo di RUVIO, che uscirà il 22 marzo su tutti i digital store, verrà presentato a Roma in concerto domenica 24 marzo a ‘Na Cosetta.

RUVIO è nato a Cosenza nel 1985. Cantautore e ricercatore universitario, nel 2008 compone la colonna sonora del libro “Colibrì e i libri nitidi” di Francesco Giannino (Officine Buone Onlus) con la collaborazione dell’attore italiano Loris Fabiani. Nello stesso anno compone un disco di colonne sonore dal titolo omonimo. Nel 2009 è il chitarrista del musical “E mi ritorni in mente 2” con Franco Oppini per la regia di Renato Giordano. Nel 2013 comincia a scrivere canzoni, pubblicando solo i videoclip degli inediti “Guardavo te” (Classifica MEI), “A te” e “Lo stesso passo” per la regia di Fabio Rao. Dal 2017 comincia ad esibirsi dal vivo e con “Lo stesso passo” arriva in semifinale al Premio Pierangelo Bertoli. Nel 2018 è tra i finalisti di “Non è mica da questi particolari che si giudica un Cantautore”, concorso di scrittura di canzoni su commissione. Milita da dieci anni nei “The Rubber Soul”, con cui partecipa a programmi televisivi RAI come “Domenica In” e “I raccomandati”.

U.s.
20/3/2019

Si canta il senso della vita senza vanità, per esigenza, attraverso un flusso di domande che nella musica non cercano necessariamente risposte, ma il coraggio di esserci: sono queste le regole de “Il gioco della sorte”, album d’esordio del cantautore siciliano Francesco Anselmo; un progetto, questo, che prima però nasce in veste di spettacolo incentrato sul teatro canzone. Il disco è uscito il 14 marzo 2018 e contiene nove tracce; è nel primo brano, che dà il titolo al disco, che viene presentato il destino assimilato a un gioco, fatto di dadi da lanciare, di tentativi e di confusioni, di misteri e di “fiabole”, neologismo creato dall’artista per enfatizzare quello spazio in cui s’incontrano e si confondono la fiaba e la favola. Si scherza grazie a una scrittura ironica e a quell’interrogativo, a fine canzone, che chiude un pensiero per aprirne tanti altri.
Salmone noir", scritta assieme all’autore Andrea Caligiuri (Drugo), è una ballata energica e curiosa, tra ska e folk, che segue la traiettoria di un treno, palcoscenico della storia che nasce tra la Signora Salmone e il Signor Mantello; ci solo loro, mentre “sbuffa la città”. Si riescono a sentire le rotaie, la nebbia, la velocità nei suoni della tromba e del piano. Ci si allontana dal mondo fiabesco per tracciare i solchi della realtà, nella delicatezza cruda e malinconica de “Il pittore futurista”, in cui si sussurra e poi si urla lo stupore di una terra che si fa scrutare da lontano. Le confidenze con la notte non spaventano, piuttosto sembrano un rito per non contare le onde, per non sentire la lontananza da casa. Gli uomini si affidano al buio per mettere a riposo i pensieri; nel frattempo in mare c’è un migrante che indossa i panni di un viaggiatore, per sopravvivenza, e poi c’è uno scafista che diviene nocchiere, per mascherarsi e per non essere smascherato, per scrollarsi di dosso le colpe di un momento e quelle che verranno.Francesco Anselmo
Le canzoni de “Il gioco de la sorte” seguono un filo conduttore e percorrono lo stesso binario, dettato dalla notte, dal noir, dalla nebbia: nel disco infatti sono frequenti alcune parole che appartengono all’area semantica dell’oscurità, che è la condizione stessa in cui siamo intrappolati; qui anche l’immaginazione si tinge di nero. Così vale per la realtà, di cui Anselmo canta e parla in “La crisi”, brano che inizia con una serie di constatazioni e riflessioni; i concetti si lasciano andare in un turbine di prese di coscienza amare, da dover sdrammatizzare, ad un tratto, a ritmo di una tromba swing. C’è poi “Il barbiere di sua figlia”, un modo scherzoso di concepire l’opera di Rossini, la cavatina di Figaro Largo al factotum, in chiave moderna.
Sono i suoni balcanici a raccontare ancora una volta la notte e ciò che questa riesce a evocare in “Chissà”; in questa circostanza però ci si rivolge alle stelle e con loro si cerca un dialogo per poter dare un senso alle paure e per poterle poi vestire di consapevolezze nuove. L’andamento veloce della chitarra e della fisarmonica segue la corsa dei tanti interrogativi che il cantautore si pone, delle parole che delineano le caratteristiche di uno sfogo. C’è inoltre la poesia dialettale per celebrare l’amore nei versi in siciliano in “Ti detti l’anima”, scritta da Moffo Schimmenti e cantata da Anselmo e Paola Bivona; ritmi accelerati, misti ad altri più lenti, segnano la delicatezza del brano e la timidezza delle immagini. Le conseguenze del consumismo e del progresso vengono cantate in “Sogna mondo”; la voce è graffiante, la tromba segna l’incalzare della ballata e la scrittura è sarcastica.
Tre punte” chiude il disco: una canzone scritta da Francesco Anselmo nel momento in cui ha lasciato la sua Sicilia. Una dedica alla terra, al mare, nella forma del canto popolare. “Tre sono le punte della vita: limoni, passioni meta”: è in queste parole il centro focale del brano, di una cultura, di un amore. 
Gli umori sono contrastanti, i toni sono a tratti esilaranti, divertenti e a volte malinconici, riprendono alcuni aspetti autentici della canzone folclorica e d’autore; il giovane artista riesce a creare un connubio giusto, dunque, tra melodie della musica italiana e tra le sonorità internazionali, come quelle balcaniche e gitane. Ha le idee chiare e le doti promettenti per continuare a sperimentare in campo artistico. Lo ha dimostrato nel suo primo album (meritatamente nella cinquina finale delle Targhe Tenco 2018), che risulta ricco di atmosfere e suggestioni oniriche, di confine tra il sapore del mare e della terra, ma anche di metafore colte e sottili. Tutto quello che serve per poter sperare di sentire altre “fiabole”, altre storie di viaggi e di viaggiatori.

Lucia Santarelli 23/07/2018

È stato tuffo nel passato, ancora recente, e qualche anteprima di un futuro tutto da sentire, il concerto di Maldestro a ‘Na cosetta estiva. Il cantautore napoletano è tornato a Roma, domenica 8 luglio, per riabbracciare il suo pubblico e per presentare sul palco alcuni inediti che confermano, ancora una volta, la sua scrittura sempre più matura e la voglia di continuare a raccontare la realtà intorno, quella che, ad esempio, vive “Tra Venere e la Terra”, ossia a Scampia, quartiere di Napoli in cui Antonio Prestieri è nato e cresciuto e che gli ha regalato una grande sensibilità umana e artistica. Non è la prima volta che l’artista omaggia la sua terra attraverso la musica; proprio nell'album di esordio - dal titolo “Non trovo le parole” -, è presente “Io sono nato qui”: una poesia tanto evocativa quanto malinconica, suggestiva e vera nella sua capacità di descrivere una porzione di mondo “dove le vele hanno una rotta da seguire, dove chi sogna di poterci rimanere, dove chi crede che è possibile cambiare e da un balcone vedere persino il mare”. maldestro-foto-2016
È con il fortunato brano “Abbi cura di te” che inizia il concerto a ‘Na cosetta estiva; Maldestro viene accompagnato dalle voci del suo pubblico, da chi lo stava aspettando da tempo nella Capitale e da chi era lì per la prima volta, con la sensazione di conoscerlo da sempre, per le storie di vita che canta, in cui è possibile rivedere uno o tanti nostri momenti. È il caso, ad esempio, delle parole di “Sopra il tetto del comune” – brano vincitore della XXV edizione di Musicultura – oppure di “Dannato amore”, storia che ha il sapore di whiskey e di carnalità, o “Dimmi come ti posso amare”, che disegna la sensazione di precarietà economica e, di conseguenza e in maniera forzata, di quella sentimentale in cui siamo intrappolati, le stesse a cui cerchiamo di sfuggire coltivando attimi fatti di sguardi e di certezze che si possono avere solo tra le mani, scavalcando le domande sul futuro. Il pubblico di ‘Na cosetta aveva già ascoltato dal vivo i pezzi del secondo disco – “Che ora è”, “Prenditi quello che vuoi”, “Arrivederci allora”, “Io non ne posso più” e “Tutto quello che ci resta” -, in occasione del tour solo acustico durante la scorsa stagione invernale del locale romano; questa volta invece Maldestro li ripresenta sotto una nuova veste, grazie agli arrangiamenti rivisitati con la collaborazione dei suoi nuovi compagni di viaggio, Paolo del Vecchio (bouzouki, chitarra elettrica, mandolino, ukulele), Luigi Pelosi (contrabasso), Sara Sgueglia (percussioni, tastiere, cori), Nicolò Fornabaio (percussioni, batteria). Non poteva poi mancare in scaletta “Canzone per Federica”, presentata sul palco dell’Ariston nel 2017, quando il cantautore napoletano si è aggiudicato il secondo posto a Sanremo Giovani e ha ottenuto grandi riconoscimenti artistici, tra cui il Premio della Critica Mia Martini.
Con la chitarra tra le mani, in attesa di essere suonata, Maldestro si lascia andare a riflessioni sull’attualità, pensieri da condividere con la speranza di essere non solo ascoltati, ma percepiti nella loro grande forza: così lui, poco prima di cantare “Sporco clandestino”, ha voluto dare sfogo, nel suo piccolo, davanti a un microfono e di fronte a occhi attenti, all’insofferenza della società in cui viviamo, la stessa in cui, ricorda bene, l’attuale Ministro dell’Interno sta seminando il terrore nei confronti delle tante persone che lasciano la propria casa per tentare di vivere; però le parole di Maldestro ci ricordano che siamo tutti stranieri, estranei al mondo e a noi stessi, diversi nella concezione più affascinante, più ricca e non sappiamo, a volte, riconoscere il bello in questa nostra forza. Ci si aiuta così, con la musica e la poesia, a riscoprire noi stessi, impolverati dalla cattiveria umana, bersagliati da voci che conducono ad altre voci, come quella del verbo “annegare”, e azioni che dovrebbero non appartenerci.
E allora “Arriverà la pace”, si augura il cantautore in un suo brano: un gesto di speranza, la voglia di una consapevolezza che, si spera, possa essere non troppo remota, ma più vicina possibile ai nostri giorni, agli uomini che fuggono da guerre civili, interiori, dalla malattia della povertà d’animo. Chi andrà ai prossimi concerti di questo tour estivo dell’artista partenopeo avrà anche il piacere di ascoltare, per la prima volta, “Dadaista”, “Tutto come prima”, “Treni a vapore” e “Catene”.
Il concerto termina con un abbraccio, tra Maldestro e i musicisti, con lo sguardo del cantautore nascosto dagli occhiali, che memorizza i volti di chi era lì per condividere una serata di suoni, di parole che si rincorrono in versi, di brindisi e di auguri, quelli che sfidano la guerra e la paura a ritmo di poesie e di applausi.

Lucia Santarelli 10/07/2018

 

Roma, 10 maggio. Il tempo dà una tregua, dopo la pioggia, e lo fa nel momento giusto. Al botteghino del Quirinetta c’è molta gente e manca ancora qualche minuto prima dell’atteso concerto di Mirkoeilcane. In strada, sui marciapiedi a due passi dal locale, vicino al palco, al bancone del bar, ci sono i suoi amici, quelli di sempre o che adesso stanno iniziando ad amarlo, quelli che lo conoscono da una vita o che lo hanno scoperto per caso, ai suoi live per l’Italia e chi a Musicultura, ad esempio; i parenti si guardano intorno, i fan temporeggiano a ritmo di aneddoti sui brani, su come abbiano conosciuto il loro Mirko, “Aò ma te ricordi quanno lo sentimmo per la prima volta?”; poi ci sono i sostenitori “che osano ‘npo di più”: si riconoscono da magliette personalizzate e palloncini verdi, appartengono alla cerchia del Fanclub ufficiale di Mirkoeilcane; loro sono i “pocodemoscopici”, dicitura che ha tutta una storia dietro, che forse sarebbe meglio indagare sulla loro pagina Facebook dove, perché no, iscriversi per condividere video, foto, impressioni e storie. Tra tutti, poi, ci sono tante coppie di fidanzati in attesa di cantare il brano che fa da sottofondo alla loro storia, “quella che mi ricorda la volta in cui”; sì, questa potrebbe anche essere interpretata come un’immagine a tratti ansiogena, però per i più romantici potrebbe apparire come una bella cartolina di una serata da condividere con una persona importante.Mirkoeilcane
In ogni caso erano moltissime le persone al Quirinetta, per la prima data romana del tour “Poco demoscopico” del cantautore. Tutti, chi per un motivo e chi per un altro, erano lì per abbracciare la musica di un ragazzo che, dopo la giusta gavetta, il successo a Sanremo Giovani e dopo aver calcato il palco del concertone del Primo maggio, sta continuando la sua carriera in ascesa senza snaturarsi, mantenendo l’ironia che lo contraddistingue anche quando dice di essere un “cantautore triste”, che sta avendo successo.
Questo lo dimostra il fatto che sul palco Mirko Mancini entra con i suoi compagni di viaggio, gli amici, musicisti che meritano di essere al suo fianco e viceversa: Domenico Labanca (tastiere), Francesco Luzio (basso) e Alessandro “Duccio” Luccioli (batteria). Il concerto inizia partendo dal passato, con i pezzi del suo primo disco omonimo: “Salvatore”, “La giuria”, “La fre(tta)”, “Lady di ghiaccio”, “Incontriravvicinatidelterzotipo”; poi il pubblico rimane in silenzio, all’ascolto del racconto recitato di “Stiamo tutti bene” - brano presentato lo scorso febbraio sul palco dell'Ariston -, che non ha bisogno di essere interpretato o di essere canticchiato, perché è forte, soprattutto tristemente vero. Il silenzio intorno aiuta a sentire, mentre gli occhi sono chiusi.
Mirkoeilcane5Il tempo per ballare e per cantare c’è, con “Epurestestate”, “Se ne riparla a settembre”, “Gusti”, brani contenuti nel secondo album “Secondo me”; e dopo arriva “Beatrice”, duetto con Ilaria De Rosa. Nel frattempo volano palloncini verdi e rossi, quando Mancini e la sua band si divertono con il loro pubblico. Lo meritano, come meritano le canzoni di essere condivise.
Poi non può che arrivare il momento di “Per fortuna”, canzone vincitrice della XXVIII edizione di Musicultura, e che aspira, con il tempo, ad avere sempre più rilevanza, per la vicenda raccontata, nel momento storico che stiamo attraversando; così è anche per “Ventunorighe”, che ricorda uno e tanti Morelli Alberto, di uomini messi in bilico da una società che non è in grado di garantire la dignità di un posto nel mondo e semplicemente, dunque, la vita. Dopo un sorso al bicchiere, Mirko Mancini è pronto per fare di nuovo un passo indietro, in quell’istante in cui tutto è iniziato con “Whiskey per favore”. Poi tutti intonano un coro, a volte anticipando le strofe, presi dalla volontà di condividere ogni istante della serata, in un giorno importante per un cantautore che si esibisce nella sua città, quella rievocata in “Da qui”. Alcuni si stringono forte abbassando lo sguardo, quando viene eseguita “Sulle spalle di Maria”. Loro sanno bene il motivo. 
Il concerto è a pochi minuti dal termine ma già viene richiesto il bis, che non tarda ad arrivare con “Gusti” e “Se ne riparla a settembre”. Si spengono i riflettori sul palco del Quirinetta, ma il tour di Mirkoeilcane continua; dopo esser stato inaugurato alla Santeria Social Club di Milano, passando per il Vinile a Bassano del Grappa, sono in programma per ora altre sei date in giro per l’Italia, ad Aversa (CE), Livorno, Ancona, Torino, Bologna e Sant’Egidio alla Vibrata (TE).

Lucia Santarelli 11/05/2018

 Photo credits: Viticulture Quirinetta

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