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Considerazioni intorno a un dialogo tra violoncello e pianoforte: Giovanni Sollima e Giuseppe Andaloro alla Sapienza

Mar 07

Sotto le figure imponenti de “L’Italia fra le arti e le scienze” di Mario Sironi, il pianoforte attende l’arrivo del compagno della serata: il violoncello. Una platea gremita si protende curiosa verso il punto focale della sala della IUC Sapienza, si chiacchiera cercando di rimpicciolire il tempo che separa dall’inizio del concerto. Questo perché, nelle mani di Giovanni Sollima e Giuseppe Andaloro ogni esecuzione è una scoperta, nulla è mai uguale a se stesso. Per loro la musica non è un museo dell’arte dei suoni ma qualcosa che vive prepotentemente. Questa concezione non gli permette semplicemente di eseguire o interpretare dei brani, devono necessariamente ri-contestualizzare la musica in ogni momento.Sollima1
Questo atteggiamento trasversale è palese già a una rapida lettura del programma: Dmitrij Šostakovič si accompagna ai Queen mentre gli Area fanno da contraltare a John Downland, e poi ancora le creazioni di Sollima, i King Crimson e i Gentle Giant. Ma l’accostamento sulla carta non è nulla in confronto alla concretizzazione di questi incontri o scontri: appena inizia il concerto ci si rende conto delle infinite possibilità esplorate dai due musicisti, che suonano in “totale libertà creando collegamenti e salti temporali tra diversi autori”.
Ad aprire è “Flow my tears” di John Downland o almeno la sua traccia, quella dalla quale i due musicisti partono per creare una musica che sia anche loro. Le atmosfere barocche si intrecciano a sospensioni laceranti: pianoforte e violoncello intessono un dialogo fitto che esplora accuratamente tutte le dinamiche del brano. Sollima si protende sullo strumento, lo tiene con mani brucianti quasi a voler sentire fisicamente il suono. Dal Seicento ricreato l’improvvisazione furiosa ci trasporta, senza soluzione di continuità, nel Novecento acre e malinconico del russo Šostakovič. Una successione che lascia sbalordito l’ascoltatore, incapace di distinguere il punto di confine tra due brani, sulla ‘carta’, molto differenti. Ma a questo punto risulta chiaro che per Sollima e Andaloro suonare non corrisponde a eseguire ciò che è scritto, ma ricreare attraverso la pratica artistica dell’improvvisazione.
Superato l’attimo di spaesamento, si riconosce la “Sonata in Re minore Op. 40” di Šostakovič che, per usare le parole di Sollima, “è la cronaca di un’epoca, è visionaria ma mostra, al tempo stesso, una classicità quasi apollinea o forse più esattamente poggia su un relitto di classicità. Pervasa di sarcasmo e tragicità, ha una scrittura forte, intensa e senza fronzoli, molto fisica e solcata”. I quattro movimenti (Allegro non troppo, Allegro, Andaloro2Largo, Allegro) si susseguono sotto le mani dei due musicisti, che iniziano con calma, compostezza e poi proseguono in crescendo fino al limite. Il violoncello si lamenta esangue, lunghe note emergono scure e precise dall’archetto di Sollima che riesce a evocare un senso di angosciosa stasi mentre Andaloro punteggia ritmicamente con staccati in pianissimo. Ad aprire il “Largo” è il violoncello solo, la respirazione di Sollima si fa intensa, tutto il suo corpo partecipa a questa musica: i movimenti del braccio destro, quello che tiene l’archetto, si fanno ampi mentre l’altra mano è ancorata alla tastiera quasi volesse sentire il suono al tatto, averne il controllo mentre si sprigiona.
Una breve pausa di silenzio prepara l’ascoltatore alla seconda parte del concerto: la più viva, la più attesa. Si ricomincia con “Tema III da Il bell'Antonio”, scritto dallo stesso Sollima nel 2004. Un brano che non lascia tregua, che costruisce scambi continui tra pianoforte e violoncello: i due performer alternano furia e calma sui loro strumenti. Sollima segna con la mano sinistra una serie infinita di glissando che evocano un terreno scivoloso, poco definito per poi arrampicarsi fino ai suoni più acuti, quasi impercettibili ma pieni di consistenza.
Con “Proclamation” dei Gentle Giant il corpo dei due artisti entra davvero a far parte dell’esecuzione. I Piedi pestano a terra, il corpo di Andaloro salta dallo sgabello per darsi lo slancio, mentre le mani di Sollima portano il tempo sullo strumento che viene esplorato in tutte le sue possibilità espressive, compresa quella percussiva. Si va avanti in questa carrellata con “Anphensibene da Il bestiario di Leonardo” sempre di Sollima, poi è la volta di “Frame by frame” per arrivare a “Bohemian Rhapsody": conclusione scanzonata di un concerto eterogeneo che si permette di attraversare la musica trasversalmente.
Atteggiamento confermato, ancora una volta, dai due bis finali: Sollima e Andaloro chiudono mettendo in fila la “Serenata. Mentre l’erbetta pasce l’agnella” dal Pulcinella di Igor Stravinskij e il progressive rock di  Trilogy” di Emerson Lake&Palmer.

 Silvia D'Anzelmo 8/03/2018

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