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#RUBIK - Felini pisani tra le vie di Roma: i Gatti Mézzi al Monk

Mag 11

Il dovere impone di aprire con una specificazione: i Gatti Mézzi non sono gatti a metà, due parti della stessa mela, due facce della medaglia, l’unione di due spiriti affini.
No. I Gatti Mézzi sono i gatti fradici in un vicolo sporco, stonati da un diluvio – e un po’ dall’alcol. E già il numero degli spiriti a loro affini aumenta esponenzialmente, nella notte di sabato 7 maggio del Monk Club.
Questo duo pisano, nato nel 2005, contempla al suo interno Tommaso Novi al pianoforte e voce e Francesco Bottai alla chitarra e voce, circondati dai tocchi blues di Matteo Consani alla batteria e Matteo Agnelli al contrabbasso, a loro perfettamente integrati.
Sono simpatici, i Gatti, e su questo puntano molto, anche involontariamente. Dai loro testi, dal loro modo di presentarsi, dalle loro magliette a righe uguali e dai loro baffetti traspare quell’approccio scanzonato alla vita e alla musica che tanto ce li fa amare. Niente fusa e miagolii melensi al loro pubblico: sul palco si racconta, si ride e si sta bene attaccati alla realtà.gattimezzi
La parte migliore di tutto ciò è che sono pure bravi, questi Gatti infradiciati: il connubio tra un testo ironico e un sound jazz e swing funziona alla grande, per loro. Lo avevano già capito in tanti, visti i numeri dei loro album e dei loro follower (anche a livello internazionale, mica robetta), e l’abbiamo capito anche noi.
Un concerto divertente, informale e veramente di buona musica, una goliardia collettiva, una festa paesana di cui tutti si sentono partecipi e non miseri spettatori. Anche noi, che di toscano conosciamo solo l’olio e il Chianti, entriamo in quel clima irriverente e prendiamo parte al loro odio per Livorno, alle avventure e ai personaggi della loro città, al loro vernacolo e alla loro personalità intensa. Vero che di Fred Buscaglione ce ne sarà sempre uno soltanto, ma i due cantautori di Pisa ce lo fanno rimpiangere un po' meno, e, a modo loro, rivivere un po' di più.
E c’è pure qualcos’altro, nella storia dei Gatti che ce li rende così congeniali: il -meritato- successo non li ha trascinati nel corrotto universo del mainstream o dell’auto-incensazione. “Roba da gatti mézzi”, dicevano i loro padri: Novi e Bottai restano randagi di periferia fieri di esserlo, promulgatori di quell’attaccamento all’autenticità delle parole e alla musica ben realizzata, quella che sembra semplice ma che non lo è.
Piacciono per questo, “Perché hanno sempre quella faccia” e se la tengono ben stretta.

Per Rubik, Giulia Zanichelli 11/05/2016

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