“Under the Cover of Lightness”: sotto la coperta della leggerezza, coperti di luminosità. Questo è il titolo dell’ultimo album di Fraser Anderson e questa è la descrizione perfetta di quello che ha trasmesso il suo concerto giovedì 26 maggio.
Un Quirinetta illuminato da candele sparse sul palcoscenico incornicia questo cantautore scozzese che crea già dai primi minuti un vortice di folk voce e chitarra ammaliante e avvolgente, un legame con il pubblico sparso tra i divanetti della sala. Cappello in testa e polo, Anderson è uno sconosciuto in Italia, lo sa bene: molti sono qui perché l’hanno sentito per la prima volta al concerto di Niccolò Fabi pochi giorni prima. Ma non lo nasconde, non si atteggia a uomo di successo incompreso, anzi ci scherza sopra e vuole umilmente presentarsi e avvolgerci con la sua voce dolce, calda e limpida. E ci riesce, e molto bene: ci vuole un attimo per conoscerlo, due accordi per apprezzarlo, due testi per esserne coinvolti, due battute per amarlo per sempre.
Parla in inglese, ma lo capiamo tutti: racconta la sua vita, il suo viaggio in Italia, pezzetti del suo passato, briciole del suo presente e sprazzi del suo futuro. Ci sussurra le canzoni dell’ultimo album e qualche pezzo del passato - sì, il ragazzo ha altri tre album all’attivo, correte ad ascoltarli - ci dimostra in poco più di un’ora che dopotutto valeva proprio la pena essere qui. D’altra parte, se è riuscito a produrre quest’ultimo disco attraverso il crowfunding, se ha aperto concerti di grandi nomi come Chuck Berry, vuol dire che così male non deve proprio essere.
Sentiamo brividi passare tra le sue parole d’amore e di sofferenza, scorrere tra i suoi acuti sussurrati, scuotersi nei suoi ritornelli che rimangono incastrati in mente. Il suo timbro è qualcosa di rasente la perfezione, raro e bellissimo, pulito ma ricco di passione, chiaro ma pieno di emozione. Il concerto finisce, anche se resteremmo altre due ore, ma è tardi, now we should allow this love to fade away.
Breve ma intenso, come tutti i colpi di fulmine. Profondo ma lieve, come tutti i cantastorie. Toccante e avvolgente come “The Wind and the Rain”, come “Beautiful Eyes” posati sul mondo e sull’animo umano.
Giulia Zanichelli 30/05/2016