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#Rubik - Bea Sanjust, LAROSA senza spine

Apr 10

Un’amaca e una Corona, spiagge candide e una capanna di tronchi di banano, la pace dei sensi e il riposo della mente. Questo è il desiderio che ci assale tutti, almeno una volta all’anno. Il disco di Bea Sanjust è il modo più semplice ed economico per portarlo a compimento.
LAROSA è il suo esordio discografico, undici sono le canzoni al suo interno, otto sono stati gli anni necessari a elaborarlo, molte le collaborazioni all’interno con amici musicisti, due le città dove esso ha preso forma, Roma e Brighton. Ma solo una e inconfondibile è la voce di questa cantautrice di impronta folk ma capace di una eterogeneità e un’alienazione da risultare poco definibile, non etichettabile in una terrena definizione.
Folk psichedelico, percussioni africane, ritmi caraibici, tocchi di armonium e glockenspiel, riprese di chitarre e bassi elettrici, melodie al pianoforte: il disco raccoglie tutte le influenze di una mente-spugna aperta culturalmente e artisticamente, di una personalità non inchiodata a uno standard da seguire, ma che si lascia scorrere, elevare verso altro da quello che conosce già.
L’essenzialità di “Piano”, il richiamo latino di “Honey Bye bye”, la rilettura in chiave acida della tradizionale ninnananna britannica “Twinkletwinklelittlestar”, le aeree ballad all’americana come “Wildflowers” e “She needs me”: ogni canzone ha il suo anello esistenziale in modo indipendente, ma resta all’interno di un cerchio magico e mistico, di una volontà di rappresentare la musica come un mondo parallelo dove poter evadere e dove quello che conta è lasciarsi trasportare dalle emozioni. I momenti di tensione musicale e interiore vengono sempre risolti, i climax si disciolgono e il nuovo si intreccia dolcemente con il conosciuto, senza creare spossamento o sconcerto ma solamente gentile sorpresa. Ogni tanto arriva da lontano una ventata di rock, come in “Julia”, ma senza mai spezzare il clima di mistico raccoglimento attorno a una chitarra di tutte i restanti elementi strumentali e richiami musicali.
Sound e testi inglesi e nordici riescono a sposarsi con l’orecchio cantautorale italiano, in una spirale avvolgente, in una trance armoniosa. La voce attraente, pulita e angelica di Bea si fa guida e faro nelle onde del suono, nelle atmosfere eteree che condividono una forte commistione strumentale e di generi. E alla fine dell’album, riesci a sentire il sale sulla pelle e la sabbia in bocca, senza sapere bene dove sei ma sentendoti rinvigorito nell’essertene andato.
LAROSA è un respiro di aria salmastra, quella che fa bene ai polmoni affumicati dal pop. È una leggera ubriacatura, di quelle che ti fanno vedere il mondo a bollicine, più dolce e più leggero.

Per Rubik, Giulia Zanichelli 10/04/2016

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