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Complice la musica: la Quarantunesima del Tenco

Nov 08

Nel pubblico dominio la parola “complice”, per estensione giuridica o per biasimo, ha assunto un'accezione negativa che, alla radice, probabilmente non le compete. Deriva da cum+plico, dal greco pleiko, che sta per “legare assieme”, “intrecciare”: cumplicare. Se venisse usata (e fruita) lontano dalle convenzioni sociologiche, forse se ne apprezzerebbe la natura più romantica. La musica, ad esempio, è complice non perché genera fazioni o complotti (termine, questo, di etimo incerto); la musica è complice perché unisce, lega assieme. Non è un caso, si suppone, che l'espressione che dà il titolo a questo scritto si legga aprendo il sito premiotenco.it: “Complice la musica” è un libro di Fernanda Pivano, ed è stato un evento del Tenco a lei dedicato. Complice la musica e complice il Tenco, anche quest'anno, nonostante tutte le peripezie che ha attraversato nei mesi passati, che qui non avranno spazio.
Complice la musica, a cui arriveremo solo dopo aver speso qualche parola sull'evento di maggior interesse della tre giorni sanremese: “Cantautori a scuola”. Una serie di incontri fiume, moderati da Sergio Staino e organizzati da Mario De Luigi per analizzare da ogni punto di vista la quaestio, ancora non vexata, dell'introduzione della canzone d'autore nei programmi delle scuole medie e superiori. Una ricognizione sul punto di staino ranieri tencopartenza, sullo stato dell’arte e sui possibili approdi. “La canzone d'autore è storia liofilizzata”, ha detto Roberto Vecchioni davanti al Ministro dell'Istruzione Valeria Fedeli. Quale sintesi migliore, per una forma d'arte per cui non è poi così importante comprendere se sia o meno poesia, se si avvicini o meno alla letteratura, ma è importante capire quanto abbia a che fare col pensiero, con la formazione di un immaginario, con la capacità di usare le parole (e in questi tempi turpiloquenti non farebbe male), con i sentimenti collettivi. Un’altra riflessione sacrosanta è stata quella di Paolo Talanca, autore del “Canone dei cantautori italiani” edito dalla Casa Editrice Carabba, il quale ha paragonato la canzone d’autore, arte musical-letteraria, al teatro, che letteratura pura non è, in quanto scritto e concepito per l'interpretazione, per la viva scena. “O assieme a Shakespeare insegnamo Guccini, oppure togliamo Shakespeare”. La speranza è che questo prezioso convegno non rimanga come un enorme buon proposito per l'anno nuovo, perché si sa che fine fanno, spesso, i buoni propositi.
Veniamo alla musica, tesa sul filo conduttore delle “Terre di mare” e guidata con impeccabile perizia da Antonio Silva. Si sono esibiti tutti i vincitori delle Targhe 2017 tranne uno, Claudio Lolli (e che peccato), costretto a casa da qualche acciacco. All'amico chitarrista Paolo Capodacqua l'onere e l'onore di leggere, a fiato tirato, la lettera con cui il cantautore bolognese ha voluto salutare l'Ariston, prendendosi pure il premio per il picco emotivo di tutta la rassegna. Ginevra Di Marco ha reso manifesta la sua superiorità come interprete portando sul palco “La Rubia canta La Negra”, che non è solo un omaggio a Mercedes Sosa ma il prodotto di una ricerca intima, una scelta politica trasformata in canto raffinato ed esaltante. La compagine femminile ha sbaragliato la concorrenza grazie anche al set ‘sirenico’ di Carmen “Mitchell” Consoli, che con quel tocco blues e quella voce madrósa è sempre più nostra signora della canzone. Si sarebbe potuto farle aprire la rassegna, così, “per vedere l'effetto che fa”. Invece è toccato a Giuliano Sangiorgi, la cui presenza (al di là dell'importuna interpretazione dei capisaldi di Luigi Tenco) è figlia o di una sottile strategia mercantile (e si spera di no) o di uno sconfinamento preoccupante nella concezione di canzone d'arte (e si spera comunque di no). Meno convincenti del leader dei Negramaro solo Camanè (è una colonna portante della musica portoghese, ma il suo fado si è appesantito di minuto in minuto) e gli Ex-Otago. Chiamati a sostenere il baluardo della nuova generazione, i guappi di Marassi hanno appallottolato “Amore che vieni, amore che vai” di De André e hanno puntato tutto sul suono sintetico, lasciando al riverbero testo e interpretazione. Tornando alle Targhe, deliziosa la performance di Canio Loguercio e Alessandro D'Alessandro (album in dialetto) e gagliarda quella del collettivo torinese Lastanzadigreta (opera prima). La sentenza, però, porta il nome di Brunori Sas, che alterna il suo “A casa tutto bene” a un mini-cabaret preludio dello spettacolo teatrale con cui girerà l'Italia nel 2018. Dario Brunori è un cantautore autentico, come quelli che oggi ricordiamo come grandi. Fate due più due e aspettate una ventina d’anni.

Peppe Voltarelli al Tenco si esalta ed esalta, sempre. L'anno scorso gli erano toccate sigla e Targa, quest'anno il compito di disegnare i tratti delle città del Nord con le parole di Jacques Brel e Léo Ferré. I risultati sono stati eccelsi per energia, coinvolgimento emotivo e arrangiamenti.

Un set strabiliante il suo, come quello di Juan Carlos “Flaco” Biondini. Il musico di Guccini omaggia l'amico Francesco con la versione argentina di “Scirocco”, celebra Roberto Goyeneche e ferma il tempo con “Cielo de los Tupamaros”. Un altro che sa stare sul palco è Roberto Rondelli, in arte Bobo, ormai per tutti Bordelli Tornerò, simpatico anagramma diventato leitmotiv dei frequentatori di Ariston e Palafiori. Il cantautore livornese seguace di Piero Ciampi ha presentato le sue “Anime storte” con stile e pulizia, e si è anche distinto come improvvisatore accompagnando la rivelazione della rassegna, il duo David Riondino-Enrico Rustici, originale tappabuchi che ha rinverdito la tradizione delle sfide in ottava rima con acume e risultati gustosi. Massimo Priviero e Gualtiero Bertelli hanno cantato due anime del veneto, quella rock di marca springsteeniana, e quella popolare, sapienziale. I Dinatatak e Alessio Arena hanno portato all'Ariston il vento multietnico di Barcellona, mentre Massimo Ranieri ha ritagliato la napoletanità in carne, ossa e voce, accompagnato dall'orchestra di Mauro Pagani. Premio Tenco come operatore culturale, Ranieri dà sfoggio di tutte le sue qualità vocali, impreziosendole con mossette e merletti da scaltro teatrante. 
Artista sopraffino e funambolo del pianoforte, Sergio Cammariere al mare ci è nato e al mare ha dedicato uno dei suoi primi capolavori. Il suo set, così intriso di sentimento e bontà umana, così embrionale e insieme compiuta sinfonia, avrebbe meritato l'ovazione, ma essendo in apertura di serata ha trovato forse un pubblico ancora intorpidito dallo spritz. Il cantautore calabrese ha anche animato uno storico dopo-Tenco andando a briglie sciolte appresso alla chitarra di Franco Mussida (tornato al Tenco dopo trent'anni) e al violino di Mauro Pagani, ma accompagnando anche Bobo Rondelli in qualche sfuriata rock 'n' roll.capossela tencoLa parola "cordàme" compare in Moby Dick circa dieci volte, e quasi sempre è sineddoche del Pequod. Ha avuto un sapore melvilliano allora il set preparato da Vinicio Capossela, che ha ritirato il Premio Tenco all'Artista 31 anni dopo Tom Waits, figura senza la quale tutto avrebbe avuto un altro verso, un altro significato. All'Ariston il pangermanico ha portato la potenza delle risacche, il circo del mare (con un sontuoso Jimmy Villotti), il tango “Cristal” (con Flaco Biondini), il rebetiko, ma soprattutto "Cordàmi" come simbolo del ricordo. Da cuore, kardià, a ricordo, fino alle corde sul palco: un bouzouki, un baglamas, un banjo, chitarre elettriche e acustiche, chitarre classiche, un contrabbasso e una chitarra portoghese, con il piano e le percussioni a fare da tela vuota. 
Il tema, si è detto, non era “mare”, ma “terre di mare”. In “Lo specchio del mare” Joseph Conrad scriveva che “il mare non è mai stato amico dell'uomo. Tutt'al più è stato complice della sua irrequietezza”. È forse nella terra, nella terra di mare, che si va cercando rifugio da quell'irrequietezza. Così, con le barche di carta ormeggiate in alto, ai lati del palco, il Tenco 41 si è riparato nei freddi porti nordici e in quelli di Livorno e Genova, nelle risacche oceaniche e nelle baraccopoli fangose del Pireo, nelle playe argentine e nei marosi siciliani, nello Ionio e nell'Atlantico, nelle vie di Lisbona e in quelle di Barcelona, nelle polverose terre del Sud, a Napoli e a Venezia. Complice la musica.

Daniele Sidonio 09/11/2017