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Musica per viaggiare (stando a casa) #3

Apr 09

«Per conoscere il mondo, bisogna partire dall’uomo, perché l’uomo è paragonabile a degli occhiali che rendono conoscibile il mondo. Non conosciamo mai il mondo come tale, ma sempre attraverso delle mediazioni. Quali sono queste mediazioni? Sono anzitutto le forme della sensibilità, lo spazio e il tempo; le cose si danno nello spazio e nel tempo: se non ci fossero lo spazio e il tempo, non ci sarebbero le cose. Lo spazio e il tempo sono dentro di noi:  siamo fatti in modo da strutturare l’esperienza a partire da spazioe e tempo».

Per introdurre il senso e l’importanza di questo nuovo “suggerimento musicale in tempi di quarantena” che andrò a sottoporvi qualche riga più in giù ho ritenuto opportuno (se non addirittura necessario) avvalermi delle parole utilizzate del filosofo e accademico italiano Maurizio Ferraris per descrivere uno dei passaggi fondamentali del pensiero kantiano. Nello specifico, abbiamo a che fare con le basi di quella "Critica della ragion pura" che fu scritta e pubblicata nel 1781 (e del quale mi ritengo un profondo estimatore dai tempi del liceo), dove a suscitare maggiore travaglio per il suo autore fu un problema decisivo: che cosa posso sapere, cioè che cosa legittimamente mi è dato di conoscere del mondo, a me in quanto essere razionale? Risposta: conoscere significa far coincidere quello che ho in testa con quello che c’è nel mondo. Più semplicemente, attraverso i sensi (che danno origine a sensazioni e intuizioni) prendo coscienza del mondo e lo metto in relazione con i concetti (elaborati dal mio intelletto). E’ dall’azione combinata di tali strumenti che si genera, così, la “vera conoscenza”.

Questo umile exploit da tuttologo (mi perdonerete, spero) serviva a riportarci all’attualità, in virtù della vera crisi con la quale stiamo veramente facendo i conti, pur non essendone del tutto consapevoli: ovvero, della nostra concezione del tempo e dello spazio. I meccanismi della nostra routine, prima che fosse drasticamente messa in stand-by, ci hanno inesorabilmente abituato ad uno stile di vita scandito essenzialmente dal “ritmo delle scadenze”.

Provate a pensarci, in piccolo o in grande che sia: un tempo per essere bambini e uno per essere adulti, uno per essere studenti e un altro per essere lavoratori, un tempo per essere genitori, un tempo per invecchiare, un tempo per giocare, per mangiare, per dormire, per leggere, per fare l’amore, per pregare. E così via, all’infinito. Tempi che hanno smesso da qualche secolo di rispettare i ben più rodati e funzionali cicli naturali, per dare maggiore adito a quelli tipicamente umani legati alla produttività e al profitto. L’importante, ci viene ricordato in maniera più o meno implicita, è essere prolifici. Ma per chi o cosa?

Da qui la mia scelta musicale per questa occasione. Piccole istruzioni per l’uso: buttate via gli orologi e una volta all’ascolto chiudete gli occhi. Lo scopo, qualora non vi fosse ancora chiaro, è quello di spogliarci completamente della nostra abituale, vecchia e fallimentare concezione del tempo e dello spazio.

 

“DARWIN!” - BANCO DEL MUTUO SOCCORSO (1972)

"Cieli umidi e senza colori

Ecco il mondo sta respirando

Muschi e licheni verdi spugne di terra

Fanno da serra al germoglio che verrà".

 

Se si dovesse spendere anche solo qualche parola per ogni traccia contenuta in questo album, il rischio minimo è di tirarne fuori un vero e proprio saggio musico/filosofico. Testi evocativi e pieni della purezza poetica più autentica ed essenziale, che lasciano spazio e ragion d’essere ad una musica quasi primordiale caratterizzata principalmente da chitarre, sintetizzatori, organo e pianoforte. “Darwin!” (Ricordi, secondo album di Francesco  Di Giacomo & Co) è una vera e propria sublimazione sonora, che ci proietta al cospetto della prima danza tribale compiuta dall’essere umano sul pianeta, sospesa a metà fra l’istinto di sopravvivenza propriamente animale e il bisogno “inconscio” di evolversi per dare forma e significato alla propria esistenza.

Uno slancio verso l’ignoto quasi oneroso per qualche ascoltatore, ma che da L’evoluzione, passando per 750.000 anni fa…l’amore? fino a Ed ora io domando tempo al tempo ed egli mi risponde...non ne ho! restituisce il piacere di un simile “sforzo”.

Nel rapportarci a questi nostri tempi così confusi, viene spontanea l’idea che il rock progressive possa fungere, in qualche modo, da medicina utile a disintossicarci dall’automatismo della società contemporanea, programmata secondo scadenze e ritmi che ci hanno reso delle macchine impersonali. Le stesse macchine che ora, in virtù dell’eccezionalità della situazione globale, sono andate completamente in tilt. E, quindi, diventa necessario per la nostra sopravvivenza rivedere il significato stesso di certe parole come “fare” (orientato al prodotto) e “agire” (orientato al soggetto, che si dà una mèta e una scelta).

E’ l’invito, inoltre - riprendendo il discorso di apertura - a rivalutare la nostra concezione del tempo e dello spazio, e questa perla di rara bellezza  del Banco del Mutuo Soccorso si dimostra più che adatta allo scopo. Anche solo per la possibilità di evadere dalla logica dei 3-4 minuti a canzone ai quali siamo stati abituati in termini di fruibilità e vendibilità. A sorpresa, persino la musica sembrerà, alla fine del giro di giostra, assumere nelle vostre vite un ruolo completamente nuovo, quasi inedito.

In ultimo, è ripensare al rapporto che noi come esseri umani abbiamo con la nostra esperienza di vita, la nostra provenienza, e, soprattutto, con il mondo. Del resto, è grazie a questo confronto finale, volenti o nolenti, che possiamo accertarci ogni giorno di essere presenti alla nostra esistenza e alla nostra essenza.

Jacopo Ventura  09/04/2020

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