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"Le promesse del mondo", le storie migranti di Flavio Giurato

Dic 24

«L’alternativa tra razionalità e magia è uno dei grandi temi da cui è nata la civiltà moderna», dice Ernesto De Martino nel saggio “Sud e magia”. Un viaggio alla scoperta delle tradizioni arcaiche dell’Italia meridionale, in cui il sacro intreccia il profano, e si smascherano i riti che, inevitabilmente, ritornano ad essere miti. Una simile atmosfera si percepisce anche nel nuovo album di Flavio Giurato, “Le promesse del mondo”, con il quale si attraversa il sud e i suoi paesaggi umorali. Un sud del mondo che si estende tra le propaggini estreme del Mediterraneo, l’America Latina e i Balcani: nove canzoni per raccontare come il dolore non conosca confini, nemmeno temporali.
Il disco si apre con “Soundcheck”, una riflessione molto intimista in cui Giurato recita: «Vorrei portarti sui luoghi/Perché è sui luoghi/Che noi proiettiamo la nostra ombra/E non c’è niente di più concreto, di piùFgcover1 tangibile della nostra ombra». E così, come l’essere umano ritrova nella propria ombra l’inter-esse, la sua capacità, cioè, di essere in mezzo al mondo, allo stesso modo il cantautore trova la propria legittimazione nell’altro. “Digos” e l’omonima “Le promesse del mondo” sono emblema di un modo di inanellare le voci e i singoli drammi per proiettarli in un quadro più ampio e sfaccettato, sempre con l’eleganza e l’attenzione di chi evita la retorica e sa che è impossibile tracciare una linea netta per dividere i buoni dai cattivi. Nessuna opposizione manichea tra vincitori e vinti o tra vittime e carnefici, quindi, ma solo storie profonde come abissi, capaci di ricongiungersi in una fede intrisa, insieme, di disperazione e speranza (“In mezzo al cammino”) e in momenti toccanti di devozione verso la persona amata (“Agua mineral”). Lavoro con un’altissima concentrazione di significati e significanti, “Le promesse del mondo” racconta la migrazione in molteplici accezioni ed estrinseca la sua profondità in ogni aspetto, trasponendo, ad esempio, la tensione del vivere in una sezione ritmica particolarmente presente, a tratti ipnotica e assimilabile a certi riti propiziatori.
Giurato sa essere impegnato, ma non anacronistico: guarda alla realtà circostante con disincanto, ma senza invocare un’età dell’oro, senza aggrapparsi agli stilemi stantii di una stagione musicale conclusa, senza guardare indietro per rimpiangere ma, anzi, rimanendo saldamente ancorato al presente, nonostante il dolore dell’incertezza. Senza nessuna velleità, “Le promesse del mondo” si profila come una sorta di megafono per storie inascoltate. Con un piede nel cantautorato e uno nella poesia civile, Flavio Giurato fa scivolare, traccia dopo traccia, un racconto corale sulla precarietà e la fuga, sulla partenza (spesso senza ritorno), ma anche sulla speranza e sull’attaccamento tenace a un ideale.

Letizia Dabramo
24/12/2017

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