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Hanjo: l’attesa nell’amore

Apr 07

“Sono giunto nel luogo del nulla, dove ogni ricordo è cancellato.” (Yukio Mishima)
Rivoluzionaria e in controtendenza l’opera di Yukio Mishima risponde a un nuovo modo di concepire il teatro musicale. “Hanjo” è un adattamento originale del 1960 tratto dalla tradizione del teatro Nō giapponese. Lo scrittore Mishima, considerato uno dei più grandi autori del Novecento, trasferisce l’ambientazione di un’opera classica nel mondo di oggi, rovescia la conclusione e contrappone gli ideali tradizionali al grigiore dell’esistenza moderna. Lo stesso impianto drammaturgico è trattato da uno dei maggiori musicisti italiani viventi, Marcello Panni. Compositore poliedrico e raffinato artista, ventidue anni dopo la prima esecuzione con la regia di Bob Wilson, rappresentata al “Maggio Musicale Fiorentino” (1994), riprende l’opera “Hanjo” in un solo atto, con una nuova versione.
La prima assoluta viene rappresentata all’Auditorium “Ennio Morricone” dell’Università di Roma “Tor vergata”, mercoledì 6 aprile 2016. Con questo nuovo adattamento, una versione da camera per tre voci e sei esecutori (flauto, clarinetto, percussioni, pianoforte, violino e violoncello), diretta dal Maestro Carlo Boccadoro, per la regia di Cesare Scarton e la scenografia di Isabella Ducrot, “Hanjo” torna alle origini antiche, all’essenzialità del teatro giapponese, con un allestimento sobrio e una riduzione della compagine orchestrale. Autore del libretto e della musica, Marcello Panni rimane fedele allo spunto narrativo dell’autore giapponese, prediligendo la versione con una conclusione misteriosa e inquietante.
L’opera racconta la storia di Hanako (interpretata dalla soprano Sabrina Cortese), una giovane geisha che attende il ritorno del suo amato Yoshio (interpretato dal basso Antonio Pirozzi), con il quale ha scambiato un ventaglio in segno d’amore. Con il passare del tempo la giovane perde il senno e vive in un’infinita attesa, chiudendosi completamente al resto del mondo. All’interno della geometria dei personaggi s’inserisce Jitsuko (interpretata dal contralto Martina Belli), una pittrice follemente innamorata della geisha. Il momento del ritorno dell’amante sconvolge gli equilibri apparenti, poiché la geisha lo respinge, preferendo rimanere aggrappata al desiderio di un’attesa senza fine. L’opera risente molto della tradizione operistica d’inizio Novecento, in particolar modo per la trattazione del tema dell’attesa, che ritroviamo in lavori operistici noti, come “Madama Butterfly” di Puccini o anche l’”Erwartung” di Schönberg, fino a produzioni artistiche del teatro di prosa come “La donna del mare” di Henrik Ibsen.
I personaggi camminano su un telo bianco disteso a terra, circondati da pannelli dipinti con immagini che suggeriscono la relazione tra le due donne. La loro collocazione nello spazio scenico sta, forse, a indicare una sorta di bunker all’interno del quale le protagoniste femminili scelgono di rinchiudersi, come un avvenuto distacco dalla realtà. A dispetto di una brillante scrittura musicale, l’interpretazione dell’opera da parte dei cantanti non ha il medesimo spirito. Probabilmente per mancanza di tempo (il contralto è stata sostituita all’ultimo momento) o per difficoltà nella lettura dei personaggi, la recitazione e l’espressività passano in secondo piano, rispetto alle varie prestazioni vocali, che restano di fatto particolarmente mature e pulite. Nell’adattamento del Maestro Panni la scrittura musicale, di grande finezza, è caratterizzata da una fusione d’inflessioni orientaleggianti e sonorità tipiche dell’espressionismo tedesco. L’aspetto interessante è la soavità del suono, che segue, talvolta incalzando talora rallentando, gli stati emotivi e il canto dei personaggi. Il compositore mescola registri vocali differenti, che diventano armonici nel momento del contatto. Ad esempio nel duetto tra la pittrice e la geisha (contralto e soprano), le quali seguono un percorso vocale indipendente l’una dall’altra, ma che alla fine converge in una sorta di cerchio avvolgente, di dimensione unica, asfissiante. La sensazione di claustrofobia è espressa anche nella trattazione dei loro stili vocali, che spaziano dal canto vero e proprio a intonazioni vicine al parlato, tipiche dello “sprechgesang” (stile vocale a metà strada tra il canto e la recitazione forzata, utilizzato per la prima volta nel “Pierrot Lunaire” di Schönberg). Se da un lato ciò apre al canto infinite e nuove possibilità, dall’altro crea distorsioni. Nella mescolanza delle voci e in un sottile gioco di rapporti ambigui, la musica in presenza delle donne crea situazioni sospese, diviene quasi “parlante”. Mentre, verso la fine, l’entrata in scena di Yoshio accende la tensione e dipinge atmosfere concitate, tragiche, che preannunciano la rottura definitiva tra gli amanti.

Serena Antinucci 08/04/2016

Nelle foto, dall'alto: Carlo Boccadoro, Marcello Panni

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