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Giovanni Lindo Ferretti a Cuor Contento sul palco dell’Orion

Mar 21

“Passa il tempo, come l’acqua sotto il ponte, un’alluvione di tanto in tanto [...], ma il ponte è stabile, io tremolante”. Giovanni Lindo Ferretti è tornato sul palco dell'Orion. Sono trascorsi quasi trent’anni di carriera da quando il leader dei CCCP-CSI cantava la fedeltà a una linea che non c’era e contaminava ideologia sovietica e chimere consumistiche. Quel dark britannico povero e rozzo, quel punk-rock casereccio fatto di una chitarra gracchiante, un basso indolente e un canto costantemente sovrattono, quei ritmi accelerati come in preda a convulsioni furono portavoce di una provincia vissuta da giovani annoiati e disorientati, dipendenti da psicofarmaci, perennemente vagabondi, disperati della notte mentre lontano urlavano insensate le guerre.
L’alluvione c’è già stata negli anni ‘80 e ’90, di acqua sotto i ponti ne è passata tanta ma, nonostante il suo tour solista si intitoli “A Cuor Contento”, il cantante non smentisce il suo essere un’anima inquieta, tormentata, controversa, tremolante appunto. Il viaggio attraverso cui il cantante rispolvera 30 anni di repertorio è iniziato nel 2011 come un percorso a ritroso, dal presente al passato, che è quasi un ritorno a casa. E forse quel titolo, che stride con il trascorso punk del gruppo, in fondo in fondo non è così inappropriato: l’ex leader dei CCCP-CSI da alcuni anni ha deciso di tornare a vivere nella casa che un tempo fu dei suoi nonni a Cerreto Alpi, alla ricerca di un contatto sincero con la spiritualità, la natura e gli animali.Ferretti02
Nella serata del 18 marzo vengono riproposti i suoi cavalli di battaglia, ma Ferretti li intona "a cuor contento", consapevole che il disagio e l’insofferenza sono imprescindibili all’uomo, e vanno accettati. Allora urla ancora, con la voce scartavetrata dalle sigarette, “Curami, prendimi in cura da te”, che con il suo classico giretto punk si interrompe per lasciare solo lo 'stupido' bit della batteria con la frase "solo una terapia", in una pausa quasi infinita. Poi i ritornelli idioti di “Mi ami?”, uno dei pezzi simbolo della band con l’andamento iniziale lento che accompagna nel loro corso gli "spermi indifferenti" del testo, soliloquio depresso-esistenziale di Ferretti. Quel che colpisce è che negli spettacoli di GLF i giovani dell ‘85 si riconoscono sempre: gli stessi ragazzi di quella provincia dalla simbologia classica delle metropoli (l'autostrada, i locali notturni, la droga) che si ritrovano in "Emilia paranoica" e ancora in "And the Radio Plays", con il suo ritmo in levare, l'accompagnamento acustico e il testo oltremodo artificioso.
Anche se manca la ruvida istintività di “Affinità e divergenze”, le chitarre distorte e i tempi movimentati, accentuati da un violino epilettico, ci sono ancora: si pensi a "Per me lo so" e "Tu menti". Il vertice del concerto è sicuramente “Cupe vampe”, con tanto di violino sgraziato e un testo che alterna disinvolto un poema lirico a una filastrocca corrosiva. Storielle elementari urlate su chitarre spigolose a ritmo forsennato, "Spara Yuri spara, spera Yuri spera”. Pervasa da un clima thriller, "Morire" porta in primo piano una depressione senza fondo con quell'arpeggio sospeso e la voce lontanissima e alienata, che declama "la morte è insopportabile per chi non riesce a vivere"; seguono "Noia" e "Depressione Caspica", cupe e taglienti come da titolo, fino al tango di "Amandoti", liscio popolare con la voce narrante e terribile.
I tempi sono cambiati, l’energia e la rabbia degli inizi cominciano a diluirsi in un'inquieta introspezione sempre a metà strada tra l’euforia e l’abbattimento. D’altro canto non ci sono più Zamboni, Annarella Giudici, e Danilo Fatur, ma nemmeno il muro di Berlino, la guerra fredda e il blocco sovietico.
Non manca nella scaletta "Annarella", tenera ninnananna dai toni eleganti, il testamento del gruppo "lasciami qui lasciami stare lasciami così, non dire una parola che non sia d’amore”. Ferretti introduce il pezzo presentandosi: "Ricomincio da capo. Un palco, una voce, due suoni: il violino e alternativamente, basso o chitarra. La cadenza si fa fluida, s’arrotondano le asperità trova spazio il sorriso e la tensione muove altri percorsi". È quasi mistica la sua presenza sul palcoscenico. Quel “megafono”, che apparentemente si era 'inceppato' a metà concerto per dirci “onestamente non capisco quello che succede nella mia vita e in quella degli altri”, ora si sovrappone a quel volto emaciato, scavato, annerito dal tempo e sembra gridare in silenzio: “Ho preso le giuste distanze da tutto: dal mondo, dalla società, dal pubblico, dalla vita e dalla mia stessa musica”.

Penelope Crostelli 21/03/2017