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Forma Mentis, un album fra presente e passato firmato Umberto Maria Giardini

Apr 30

Erano gli anni ’90 quando Umberto Maria Giardini iniziava a farsi strada nel panorama della musica italiana con i suoi primi progetti. Artista esperto e poliedrico assorbe molte delle influenze degli ultimi due decenni del secolo passato, nostrane e non solo; influenze che fa proprie, rimodellandole e andando a definire quello stile che oggi gli appartiene e lo contraddistingue e che nel 1999 venne presentato al pubblico attraverso il nome d’arte di Moltheni con l’album dal titolo Natura in Replay.
Erano gli anni ’90 e adesso sembrano così lontani. Una distanza enorme che però Umberto Maria Giardini è riuscito a colmare con il suo ultimo lavoro Forma Mentis, pubblicato da Ala Bianca Records il 22 febbraio a vent’anni dal primo grande successo e anticipato dall’uscita del singolo Pleiadi in un Cielo Perfetto. Un album capace di osare, ricco di originali soluzioni musicali ma che pone dichiaratamente le proprie radici nella cultura di fine Novecento.

UMG foto di Nicola Santoro 2 minL’artista marchigiano incide dodici tracce fortemente introspettive, brani che parlano ad ognuno di noi, al nostro subconscio e alla nostra intimità. Le liriche di Giardini sono poetiche, sognanti, in perfetta continuazione con i lavori precedenti, e regalano all’ascoltatore spunti di riflessione mai scontati. Il compito di imprimerli nella nostra memoria spetta, oltre che all’inconfondibile voce del cantante, all’ottima composizione strumentale, capace di spaziare dalla fierezza del rock, all’enigmaticità propria della psichedelia, traendo spunti contemporaneamente dal mondo folk e dallo “sgraziato” grunge. Un album che potrebbe dunque apparire complesso e di difficile fruizione ma che si rivela essere un esempio di talento ed esperienza di cui ciascuno di noi potrebbe e dovrebbe godere. Umberto Maria Giardini si conferma un artista autentico, fedele alla propria musica e arte, riprendendo in mano un progetto ideato nel 2004 e proposto dopo quindici anni in una splendida veste che abbraccia presente e passato.

L’album, della durata di quasi un’ora, è una perfetta sintonia fra poesia e musica, fra parole e strumenti. La voce graffiante di Giardini è protagonista indiscussa, anche là dove lo strumentale si appropria delle proprie frequenze, attraverso ingegnosi riff di chitarra, consistenti linee di basso, rullate di batteria, pianoforti, distorsioni, archi e un ampio spazio dedicato all’estro dei solisti. Ne è il perfetto esempio la traccia di apertura La Tua Conchiglia, all’interno della quale ogni musicista trova il proprio ruolo, definito e indispensabile. Un arpeggio appena accennato introduce al brano che rivela una struttura crescente pronta ad esplodere in un assolo che nelle misure finali si intreccia con la cruda voce di Giardini. Da sottolineare la presenza di un riff conclusivo a chiusura del brano che richiama molto dinamiche anni ’80/’90, risvolto utilizzato in modo più definito nella seconda traccia Luce. Il brano in questione si concentra sulle capacità canore dell’artista, alle prese con una complessa melodia e un timbro vocale espressivo e a tratti lacerante. L’importanza delle parole è evidenziata dalla brevità dei testi, capaci attraverso poche righe di riempire canzoni dalla durata ben oltre lo standard. Parole spesso ricercate, come quelle che compongono Pleiadi in un Cielo Perfetto, brano a tratti enigmatico e imperscrutabile che ci porta in una dimensioni quasi onirica. Vi è qualcosa di misterioso nella strofa che si tramuta in un ritornello che lascia un senso di speranza, di spensieratezza, entrando in netta contrapposizione con la traccia successiva Argo, che sembra volerci riportare alla cruda realtà, fatta di aspri dolori e fatalismi «Moriremo di noia, pagheremo le multe, brinderemo con acqua infetta». Il suono metallico delle corde permea l’intera composizione, accompagnato da una voce che con forza scava dentro la persona, graffia e ferisce. Troviamo molte influenze dell’hard rock e del grunge in questo come nel brano successivo, Materia Nera, uno dei più lunghi dell’intero album. Gli strumenti gestiscono sapientemente il UMG teatro 3proprio andamento e timbro nell’esecuzione, creando un susseguirsi di silenzi, accenni e effetti, che riempiono la canzone, nella quale troviamo ben due assoli di chitarra. Sesto e settimo brano sono invece Di Fiori e Di Burro e Le Colpe dell’Adolescenza, due componimenti che analizzano rispettivamente la condizione umana fra presente e passato. Umberto Maria Giardini sfodera tutte le sue capacità canore in queste due canzoni, dove la sua voce opera numerosi variazioni, passando da sussurri confidenziali a grida liberatorie. I Miei Panni Sporchi è il titolo dell’ottava traccia, frenetica e incalzante. Gli strumenti si sommano durante l’introduzione, uno dopo l’altro entrano nella composizione, riempiendo a poco a poco gli spazi, per poi svanire tutti assieme nel ritornello lasciando l’ascoltatore vuoto per un istante. È un attimo, poi tutto cresce nuovamente, sino ad un inevitabile chiusura in dissolvenza. Tenebra, nona traccia, si mostra più dolce e sognante di quanto il titolo possa lasciare immaginare. Torniamo nella dimensione onirica di Giardini dove gli strumenti si rilassano e la melodia sembra cullarci, grazie anche alla presenza di archi scritti e diretti per l’occasione dal maestro Carlo Carcano. Ma il momento è breve, perché interrotto bruscamente da Vortice Cremisi, un aggressivo strumentale dove chitarre, basso e batteria si fondono in un sound fortemente stoner. Sound che non ritroviamo in Pronuncia il Mio Nome, più lenta, più misteriosa e spettrale, grazie soprattutto al pianoforte di Irene Cavazzoni Pederzini che ha offerto a Giardini le proprie capacità. In chiusura, infine, troviamo la traccia che dà il nome all’album, Forma Mentis. Brano interessante da diversi punti di vista, struttura, composizione, capacità tecniche e molto altro ancora. All’ascolto potrebbe sembrare composto da due canzoni separate ma che trovano nella chitarra di Emanuele Alosi (Bud Spencer Blues Explosion) il punto di unione che permette a Umberto Maria Giardini di mettere in musica un testo sublime, meritevole di una composizione e una esecuzione veramente d’eccezione. Sette minuti di brano in cui ogni secondo ha uno scopo.

Quello di Umberto Maria Giardini, dunque, è un prodotto musicale che resta non solo nelle orecchie, ma scava, si insinua, ci pervade. A tratti accarezza e a tratti ferisce, lasciando l’ascoltatore disorientato e affascinato allo stesso tempo. Un album che mostra la capacità dell’artista di non cedere alle lussurie del tempo e delle mode musicali, mantenendo salde quelle esperienze che, se per molti possono sembrare solo ricordi passati, grazie a Umberto Maria Giardini appaiono ancora odierne e efficaci.

 

Lorenzo Bartolini 28-4-2019

Foto di Nicola Santoro