È tra i più attesi del 2015, “Choose Your Weapon”, il secondo disco degli Hiatus Kaiyote, il quartetto australiano che dal 2011 sta cercando di aggiungere una nuova voce all’enciclopedia della musica. La maggior parte la chiama neo soul, altri world music, c’è chi addirittura la minimizza nell’alternative rock, solo perché quella degli Hiatus è una musica totalmente nuova.
Una voce soulfull, quella della cantante e chitarrista Nai Palm, accompagnata al basso da Paul Bender, da Simon Mavin alle tastiere e da Perrin Moss alla batteria. Un quartetto nativo di Melbourne e contaminato da tutta quella black music degli anni Settanta, ma anche dai grandi chitarristi come Paco De Lucia, dall’afrobeat di Fela Kuti e Tony Allen, e dalle influenze dell’hip hop dei De La Soul e di Georgia Ann Muldrow. Ma la loro musica attinge anche dalla latina, dal jazz e dall’opera, miscelandosi in un unico grande impasto il cui collante è la voce imprevedibile della Palm.
Il loro primo disco, “Tawk Tomahawk” - pubblicato autonomamente via web nel 2012 - li ha portati sul grande palco dei Grammy assieme a Q-Tip, il rapper e beat maker dello storico gruppo hip hop A Tribe Called Quest. Nel 2014 hanno ricevuto una nomina ai Grammy come migliore performance R&B e, sempre lo stesso anno, ha preparato il loro pubblico ai riff di basso funk e ai synth tipici del nipotino di John Coltrane, Flying Lotus, contenuti nell’ep “By Fire”.
Le tre tracce dell’ep, pubblicato sempre via web, fanno parte della tracklist di 18 brani del loro prossimo album il cui titolo, date le attitudini afro degli Hiatus, trae forse ispirazione dalle parole del sassofonista nigeriano, Fela Kuti, che sosteneva che la musica fosse la sua arma (“Music is the weapon” ndr). Troveremo forse in “Choose Your Weapon” delle interpretazioni critiche della nostra realtà contemporanea? Dal primo singolo estratto, “Breathing Underwater”, possiamo dedurre che la staticità e la verticalità del suono è qualcosa che, fortunatamente, non gli apparterrà mai. È un pezzo che apre su dei ritmi sincopati che rimandano a quelli di Tony Allen e prosegue su dei Moog celestiali spezzati dallo slapping del basso tipico di Bootsy Collins. Ma è una rincorsa spasmodica verso un’inutile etichetta, non si può imprigionarli in una recensione perché si muovono tra i generi troppo rapidamente, una particolarità tipica di quei talenti dotati del genio musicale più libero.
https://www.youtube.com/watch?v=9ZVMViSx6Ek
(Federica Tazza)