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La fucina musicale degli Einstürzende Neubauten: un monolite metallico al Rock in Roma

Lug 25

C’è stato un momento nella storia della musica in cui iniziarono a fare la loro comparsa “nuovi strumenti” per la produzione di suono, scardinando i modi convenzionali di pensare una composizione, anche fosse solo di “musica di consumo”. Sentiero battuto dai più, molti non sono arrivati alla vera essenza di ciò che si stava tentando di fare “assecondando” il mutato spirito socio-politico-culturale che, dall’inizio del Novecento, ha seguito un andamento altalenante tra soste e accelerazioni. E quei “nuovi strumenti” di cui si è citata poco sopra soltanto la natura ortografica, segnica, scopriamo essere oggetti di uso quotidiano – o comunque familiari nei contesti più vari – che diventano emblemi e mezzi di esplorazione. Questo è ancora più vero quando tutto – ça va sans dire – è permeato da un pensiero creativo, un motivo urgente che spinge verso la ricerca di nuove coordinate sonore che si ammantano della veste più pura, autentica. È quello che da quasi quarant’anni fanno gli Einstürzende Neubauten, che hanno saputo andare oltre il semplice e superficiale concetto del “si può fare musica con qualsiasi cosa”, mettendo in scena tutto il proprio mondo – una vera “officina musicale” – lo scorso 17 luglio all’interno del Postepay Sound Rock in Roma.
Siamo lì, trepidanti, in quel “giardino” dell’Ippodromo Capannelle, teatro di una tappa del tour “Greatest hits” del gruppo tedesco che viene preceduto dall’opening act degli Spiritual Front, band romana attiva in tutta Europa (Germania, Finlandia, Spagna, Romania) e Regno Unito – con incursioni anche oltreoceano. Inseriti nel filone del suicide-pop e nihilist folk, con la loro intensa e convincente performance pregna di atmosfere decadenti, sonorità ora crude e piene, ora più levigate, consegnano al pubblico presente – non molto, bisogna dire – ballate di un pop tenebroso dal sapore vintage, con virate metal e un tocco western, girando la serratura dello scrigno che racchiude tutto quello che seguirà dopo.
Einsturzende2Una volta aperto, infatti, troviamo i cinque artigiani fabbri – Alexander Hacke, N.U. Unruh, Rudolf Moser, Jochen Arbeit e Ash Wednesday – guidati da Blixa Bargeld, gran cerimoniere vestito di tutto punto (con abito e panciotto), pronti per dare avvio alla loro e nostra personale perturbante terapia sonora. È un concerto-viaggio a bordo di una “barca di sole” (“Sonnenbarke”) per solcare i cieli più oscuri e scrutare la desolazione, il disagio e un probabile futuro di una società sprofondata nel buio di una «gelida fornace». Ne abbiamo ascoltati di suoni dal primo album – "Kollaps" (1981) – che hanno svelato progressivamente tutta quella vocazione industrial che fa largo uso di oggetti e materiali anche di scarto e/o riciclati ai quali si affiancano strumenti “tradizionali” come una chitarra elettrica o un basso. Come le viti e i bulloni erano diventati per John Cage fondamentali in quel suo “pianoforte preparato”, anche per gli Einstürzende ogni cosa diventa strumento utile, per non dire necessario, al fine di tracciare un percorso tra suono e rumore. Bidoni di plastica, lastre e strutture di metallo, anche l’interno della turbina di un aereo e un trapano, posizionati sul palcoscenico quasi in assetto da guerra, sono punti sonori dai quali si innalzano densi umori metallici che sorreggono alla perfezione la nera e fascinosa voce di Blixa in una particolarissima ricerca timbrica, per cantare alcuni dei maggiori brani di tutta la loro produzione discografica – “The garden”, “Haus der Lüge”, “Nagorny Karabach”, “Sabrina”, “Silence is sexy”, “Let’s do it a dada”. Gli spettatori – per lo più veri fan e tra un bicchiere di birra e l’altro – sono totalmente ipnotizzati dall’esibizione e dai pochi e studiati giochi di luce che incorniciano un “primitivismo acustico”, il grado zero di un complesso sound materico (di)spiegato lì, solo per una sera, con un’energia comunicativa fuori dal normale. “Melancholia”, sensualità, ironia, forza, disperazione sono i sentimenti narrati nella set-list pensata per il concerto, che cesella con equilibrio momenti di pura forza sonora quasi bruitistica – riportando alla memoria quell’arte dei rumori di Luigi Russolo – con altri più elegiaci, rimandandosi a vicenda. Ci sintonizziamo su quelle onde frenetiche che si spandono da quell’universo sconosciuto, su quei gridi, urla espressionistiche angoscianti, quasi come rantoli, di Bargeld come provenienti da un “altro-quando” fino a raggiungere un grado di rarefazione verso il silenzio che fa da contraltare a una certa pesantezza del suono.
Einsturzende3Alla fine di tutta la “cerimonia”, gli Einstürzende Neubauten ci hanno raccontato di una fine e di un cambiamento con un cammino in caduta libera: ci siamo – o forse non ancora del tutto – affrancati da tutte le paure, gli incubi ancora vivi retaggi di una dittatura emotiva che ha flagellato le sue vittime. Ci ricordano di “crolli di palazzi”, quelli che avrebbero dovuto sorreggere l’intera umanità. Sono rimaste solo distese di cemento, cumuli di rovine tra le cui crepe troviamo lui, Blixa e la sua musica, poeta di canzoni inaudite e di un futuro se non luminoso almeno colorato, seme da far germogliare, innaffiato, forse, da una sehnsucht senza speranza.

Marco La Placa 26/07/2017

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