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De André canta De André: al Parco della Musica nel nome del padre e del figlio

Giu 27

“Quando ero piccolo / mi innamoravo di tutto [...]”
Sembra di vederlo – Cristiano – mentre ancora bambino si sorprende per quelle parole composte come la musica che s’affacciava sicura dalle dita paterne.
Sembra di vederlo – sempre lui – imbracciare la sua prima chitarra e disegnare con quell’ugola già grave d’eredità il suo primo “De André canta De André”.
Sono passati anni, il figlio ora è il padre e il padre si è fatto verbo: ancora una volta, come già nel 2009, è l’Auditorium Parco della Musica ad accogliere nell’abbraccio della Cavea la partenza del nuovo tour che mantiene viva la connessione tra la poesia immortale di Faber e l’eredità - quel “cognome che è un’incudine” – di Cristiano.1111deandre
Vibra il primo accordo ed è già suggestione. La “Versione di C” (che è anche il titolo della biografia edita da Mondadori, aprile 2016) può cominciare, con quei “nuovi vestiti” marcatamente pop, che portano i segni evidenti del gusto musicale del polistrumentista figlio d’arte: se brani come “Fiume sand creek” e “Quello che non ho” viaggiano su sonorità dal carattere rock-contemporaneo (evidente qui la “mano” dell’arrangiatore Max Marcolini e della band formata da Osvaldo di Dio alle chitarre, Davide Pezzin al basso e Davide Devito alla batteria), i fonemi in musica di "A' çimma" e “'Â duménega” e – ovviamente –crêuza de mä, creano un’atmosfera rarefatta, calda come la voce che li libera, anarchica come quel ciuffo sugli occhi che agisce come un valore aggiunto all’arte dalla genetica.
Cristiano canta e racconta: prima di intonare “Una storia sbagliata” che Fabrizio compose pensando all’assassinio di Pasolini, regala l’aneddoto di un tema assegnato al Liceo sul poeta ucciso all’idroscalo, a cui seguì un “10” dopo l’aiutino paterno per la composizione.

111deandreTutto il concerto è così, una foto di famiglia in musica, con la felicità e il dolore che questo comporta: non bastano “Amore che vieni amore che vai”, “La guerra di Piero” e l’estasi contagiosa di “Il pescatore” a portare via quel gusto malinconico che si legge negli occhi di Cristiano, specie quando sinceramente emozionato, si inchina davanti al pubblico assiepato sotto il palco che non smette di costringerlo ai bis d’ordinanza. Cristiano non è Fabrizio, non ha la sua precisione vocale, non scandisce ogni sillaba caricando di significante il significato, ma ha una sua forza assoluta e personale (peccato, infatti, non ci sia stato modo di ascoltare alcuni brani dell’album “Come in cielo così in guerra”o quelli più datati, come “Lady barcollando”), possiede un fascino irresistibile che, a metà tra il maledetto e la sfortuna, lo pone con un piede nel riflesso paterno e l’altro, fermo e vibrante, pronto a fare un salto verso l’inesplorato.Resta quel bambino fatto uomo, un “amico fragile” che più di tutti ha il diritto di mantenere vivo il ricordo di Faber, che più di tutti ha il dovere di spostarsi il ciuffo anarchico dagli occhi per dirsi sempre e comunque “[...] molto più ubriaco di voi [...]”.

Adriano Sgobba 27/06/2016

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