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“Se cadere imprigionare amo” diciannovesima opera del festival Inventaria

“Se cadere imprigionare amo” ha in sé una qualità visionaria non nuova alla compagnia Teatro delle Bambole di Andrea Cramarossa. Questo gruppo, formatosi nel 2003, si rifà al nuovo metodo di approccio all’arte drammatica partendo dagli studi del regista e drammaturgo sul rapporto tra suono e corpo, voce e persona, musica e personaggio. Sbarcati a Roma, presentano il 21 maggio questo spettacolo in prima nazionale al festival Inventaria, organizzato dalla compagnia romana DoveComeQuando e ospitato al Teatro dell’Orologio.

L’ispirazione di fondo è l’indagine sul mondo degli insetti da cui derivano i tic che tormentano i cinque personaggi in scena, protagonisti incerti di un mondo alienato. Con giocosità infantile, gli interpreti si presentano al pubblico abbigliati da scolari ormai cresciuti: cravatta e gonna a pieghe per le tre donne, camicia bianca per gli uomini; parlando una lingua dislessica mista al dialetto pugliese. Senza una vera storia limitante portano avanti una pièce basata sulla ripetizione di scherzi innocenti che sfociano in effettive crudeltà, cosicché, a un certo punto, anche un gesto quotidiano come fumare, di per sé insignificante, diventa avvertimento del pericolo.  Questa trasmutazione del reale nel grottesco segna l’intero spettacolo, sintomatico del constante cambiamento della vita. Il palcoscenico del teatro diventa il mondo, uno spazio vuoto riempito di umanità.  

L’accumulazione delle sequenze, spesso slegate tra loro, confonde la percezione dello spettatore che ricomincia a respirare solo al momento dei monologhi; questi mettono in luce e rendono grazia alle capacità degli attori che sono altrimenti oscurate dai continui travestimenti e scambio di ruoli, e dalla bizzarria delle scene d’insieme. Ognuno di loro ha perso qualcosa, ognuno ha un rimpianto e una perversione. Isolati da una luce in mezzo al buio che oscura tutti gli altri, ciascuno, di volta in volta, si fa protagonista di una storia. Impariamo a conoscerli e a riconoscere noi stessi nei loro racconti. La poetica kafkiana, la ricerca microscopica del mondo sociale, che tutti ci accomuna, accorcia la distanza tra chi guarda e chi è guardato.

 

(Silvia Maiuri)