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X-Men: Dark Phoenix, l'implosione di un successo

C’è qualcosa di profondamente ingiusto nell’assistere alla conclusione di una saga come quella di X-Men senza salti sulla poltrona, con la bocca chiusa e gli occhi mai sbarrati in un’espressione di sorpresa. Il pubblico, quello cresciuto a pane e mutanti, esce dalla sala a testa bassa, non completamente appagato e con pochissima adrenalina in corpo, conscio di aver assistito a un flebile ricordo di quella che è stata la saga degli X-Men in tutte le sue sfaccettature, da quella originale, al suo reboot, alla versione animata, sino alla striscia dedicata al mutante per eccellenza: Wolverine. Ripercorrendo il percorso minato segnato nel 2006 con “X-Men Conflitto Finale”, anche in “Dark Phoenix” la figura centrale di Jean Grey (Sophie Turner) si rivela autodistruttiva. I suoi incontrollabili e immani poteri valicano i confini diegetici causando un’esplosione dalla forza implosiva che accartoccia l’opera su se stessa, depotenziandone la carica attrattiva. “Dark Phoenix” doveva segnare il congedo degli X-Men, il loro ultimo inchino da esseri autonomi prima di venire – eventualmente - assimilati dall’universo Disney-Marvel. Il film diretto da Simon Kinberg, produttore di fiducia della saga che non aveva nessuna esperienza dietro la macchina da presa se non un episodio del nuovo “The Twilight Zone”, risente dell’inesperienza del suo regista risultando anonimo, senza cuore, dimenticabile. Non gli corre di certo in soccorso una sceneggiatura dall’ECG piatto, priva di grandi colpi di scena (a esclusione, forse, del primo – e comunque citofonotassimo – turning-point).

X Men Dark PhoenixNon siamo più negli anni Sessanta di “X-Men First Class”, e nemmeno agli inizi degli anni Ottanta di “X-Men: Apocalisse”. Con un salto decennale lo spettatore viene trasportato nel 1992: gli X-Men vivono un periodo di pace grazie soprattutto alla scelta del professor Xavier di inviare i suoi migliori studenti in missioni di soccorso internazionale. Un legame destinato a rafforzarsi quando il presidente degli Stati Uniti chiama i ragazzi di Charles per salvare un equipaggio intrappolato in una navicella nell'orbita terrestre e prossima a essere distrutta da una tempesta di energia. Ciclope, Jean Grey, Nightcrawler, Storm e Quicksilver accettano di rischiare la vita nonostante i dubbi di Mystica. Nella concitazione del soccorso, Jean rimane però indietro e finisce investita da un'energia aliena. Miracolosamente la assorbe e sopravvive, ma scoprirà di aver fatto proprio un potere spaventoso. Non solo Jean diventerà Fenice, ma si tramuterà in Fenice Nera.

Sono lontani i desideri di infondere nuova linfa vitale a questi personaggi, sospinti da una voglia di svecchiare il passato e sperimentare con riprese adrenaliniche e fotografie cangianti, espressi e realizzati da un autore come Matthew Vaughn. Al regista di “X-Men: First Class” (e di altre pietre miliari dell’action-movie come “Kick-Ass” e “Kingsman”) si deve il merito di aver rilanciato la fama dei mutanti dopo la battuta di arresto di “X-Men: Conflitto Finale”. Eppure, né Bryan Singer, né tantomeno Simon Kinberg sono risultati all’altezza di tenere alta l’asticella del successo e dell’apprezzamento generale. Analizzando a fondo “X-Men: Dark Phoenix” si denota la perdita di quell’oscura seriosità che ha accompagnato la saga in tutti i suoi episodi precedenti (e già ampiamente scemata con Apocalypse), a favore di un’eccessiva verbosità e infiniti primi piani. A farne le spese è soprattutto lo spettatore la cui soglia dell’attenzione è messa a dura prova per due terzi del film. Senza carica di suspense e stimoli visivi, il pubblico si sente perso e tradito. Sarà solo con l’incontro tra Charles ed Erik che la macchina dell’intrattenimento tornerà a funzionare. Un’ora e dieci, tanto deve aspettare lo spettatore per assistere alla prima lotta tra le storiche due fazioni e iniziare a immergersi nella storia. È dal momento della lotta che il cuore degli X-Men riprende a battere aprendo un varco attraverso cui intravedere barlumi di una saga che sembrava essersi perduta. Certo non siamo ai livelli dei primi X-Men, né tantomeno di First Class, eppure l’ultima mezz’ora di film risolleva un’opera destinata ormai all’inesorabile naufragio. A poco possono Michael Fassbender e James McAvoy. I due attori – qui più che mai sprecatissimi - vantano un talento invidiabile che la blanda sceneggiatura non offre possibilità di sfruttamento. Astuto pertanto il regista il quale, avendo già x men dark phoenix james mcavoyavuto modo di collaborare con il cast nei precedenti episodi, sa quanta forza e carica non verbale si nasconde negli sguardi profondi e psicologicamente introspettivi di McAvoy e Fassbender. A loro sono dedicati numerosi primissimi piani, eppure se addizionati a quelli che costellano in maniera quasi ossessiva tutto l’arco narrativo di “Dark Phoenix”, finiscono per frenare la partecipazione spettatoriale al posto di favorirla. La stessa protagonista, Sophie Turner, risulta soffocata dal proprio ruolo, risultando incapace di gestire le proprie capacità interpretative, proprio come incapace di gestire le proprie emozioni è la sua Jean Grey. La presenza dei mutanti alieni dominati da un’evanescente Jessica Chastain se da una parte sono il pretesto per riunire gli acerrimi amici/nemici Xaver-Magneto, dall’altra risultano villain deboli e poco caratterizzati. Non si spiega mai abbastanza chi siano, cosa vogliano, quali siano i loro veri poteri, impossibilitando così lo spettatore di prendere una posizione.

Troppa carne sul fuoco e poca abilità da parte del regista di saper gestire la cottura. Gli occhi non rimangono incantati, la spinta di emulazione e desiderio di possedere quei poteri è lenita, nascosta sotto strati di effetti digitali posticci e una sceneggiatura fin troppo semplice e prevedibile.

Elisa Torsiello, 15 giugno 2019