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"I, Tonya": quando la vita supera anche il cinema

Craig Gillespie dirige Margot Robbie, Sebastian Stan e il premio Oscar Allison Janney nel film che riporta sugli schermi la vera storia di Tonya Harding: giovane atleta americana protagonista di uno dei più grandi scandali dello sport mondiale. La passione di Tonya è pattinare, il suo è un talento innato, naturale, la sua vita fin da bambina ruota attorno a questo dono. L’adolescenza minata da un conflitto perenne con la madre Lavona,- nei panni di una strepitosa Allison Janney- despota, crudele in maniera immotivata e sempre pronta ad esprimere pareri lapidari nei confronti di quella che, negli anni 80, era poco più che una ragazzina, trova sfogo nel pattinaggio artistico e nella figura di Jeff –un imbranato e irascibile Sebastian Stan-: fidanzato, poi marito, complice, ma allo stesso tempo carnefice. Anche con lui, infatti, Tonya si imbatterà in un rapporto in cui il desiderio di essere amata e apprezzata, come forse non era mai stata fino a quel momento, sarà lo sprone per superare le continue violenze, le litigate frutto di un amore malato, di una dipendenza piuttosto che di un sentimento tonya 4vero e proprio. La vita privata e quella sportiva si fondono in un mix di ironia –tragica-, sarcasmo, violenza e soprusi che emergono dalle parole dei protagonisti, incontrati da Steven Rogers, che ha creato una sceneggiatura in cui si arriva ad un perfetto equilibrio tra emozione, forza e vulnerabilità.
Prima ancora che il film inizi compare la scritta “tratto da interviste assolutamente vere, totalmente contraddittorie e prive di qualsiasi ironia con Tonya Harding e Jeff Gillooly".
La struttura narrativa del film, infatti, è proprio questa: i protagonisti sono intervistati singolarmente, solenni al centro dell’inquadratura, raccontano la loro vita attuale e la vicenda che li vide protagonisti all’epoca. Attraverso le loro parole con un flashback, si torna, quindi, ai fatti raccontati. Si assiste ad una continua contraddizione dove i punti di vista dei personaggi si scambiano, si sovrappongono, si annullano rendendo lo story telling dinamico e accattivante.
“I, Tonya” senza dubbio può definirsi una dramedy in cui la commedia insita nei protagonisti, impeccabili nella resa anche spontanea e surreale della vicenda, si scontra con la drammaticità di una vita che sembra non migliorare mai, nonostante i sacrifici, nonostante la volontà e la passione.
Tonya, Jeff, Lavona e Shawn – Paul Walter Hauser - la guardia del corpo, vero e proprio ideatore del piano, sono rappresentati come persone, non sono caricature, nemmeno personaggi, lo spettatore non fa fatica ad empatizzare e simpatizzare con loro, gli viene fornita anche un ulteriore alternativa nella figura dell’allenatrice di Tonya, Diane Rawlinson, interpretata da Julianne Nicholson che rappresenta un punto di vista esterno, che nel film ricopre quasi il ruolo materno da cui Lavona si discosta completamente. Il regista ci rende partecipi dei sentimenti che li attraversano, ci lascia liberi di scegliere quale sia la versione a cui sentiamo di voler credere. tonya 2Il girato ci immerge totalmente nell’estetica anni Novanta, dalla musica pop, all’abbigliamento, ai biondi capelli della pattinatrice più nota degli States. L’energia di Tonya resa attraverso continui movimenti di camera, stacchi veloci e una colonna sonora che trasmetta il caos e l’euforia della sua vita in quegli anni, si scontrano con la nefasta caduta della sua carriera. L’unica donna al mondo ad eseguire perfettamente un triplo axel nel 1991, cade rovinosamente da quel salto in un baratro da cui non le sarà più possibile riemergere. L’aggressione a Nancy Kerrigan, sua amica e rivale sportiva, pur non essendone lei stessa l’artefice, la allontanerà definitivamente dal mondo del ghiaccio, a soli ventitré anni, dove la sua bravura non era mai stata valutata oggettivamente, dove il suo temperamento era in contrasto con il simbolo dell’America, dove il cosiddetto sogno americano, forse, non si è mai potuto realizzare davvero.

13/03/2018
Ilaria Costabile

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