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"This is the genius": i 70 anni di David Lynch

"L'idea è tutto. Non tradirla e ti dirà tutto ciò che c'è da sapere" (David Lynch)

Probabilmente festeggerà sul set della terza stagione di "Twin Peaks" e brinderà con una fumante tazza di caffè nero e una squisita torta del Double R. Artista rivoluzionario, collezionista di opere deformanti, visioni e racconti surreali, David Lynch compie oggi 70 anni.
Dieci lungometraggi, 49 anni di carriera mai bagnati da un Oscar o da un Golden Globe. Una carriera avvolta nel mistero quella di Lynch, nato a Missoula, Montana, nel 1946. La primordiale passione per la pittura espressionista, che si ritrova nella sua cura per l'immagine simbolo del lato emotivo del reale, lo spinge in giovane età a partire per l'Europa per studiare Oskar Kokoschka, salvo poi rientrare in America dopo poche settimane. Nel 1996 il trasferimento a Philadelphia, città-antro risputata nell'inquietudine che permea la maggior parte dei suoi film. Qui il regista si avvicina alla macchina da presa e realizza il primo cortometraggio, "Six Figures Getting Sick", col quale vince il concorso della Pennsylvania Academy of Fine Arts. L'opera – 4 minuti in cui sei teste vomitano su un tavolo accompagnate dal suono di una sirena in loop – è un esperimento, un prodromo dei vari fili rossi sui quali si muoverà la sua intera filmografia, dall'astrattismo narrativo alla centralità dell'elemento sonoro.
Nel 1971 si trasferisce a Los Angeles per frequentare il conservatorio dell'American Film Institute, che lo sovvenziona con 10mila dollari per il primo lungometraggio, "Eraserhead", un horror minimalista terminato nel 1977 tra tribolazioni economiche e riprese a singhiozzi. "Io ho sentito Eraserhead, non l'ho pensato. È stato un processo molto semplice, che partiva dalla mia interiorità e andava verso lo schermo". Il clamoroso successo di critica dell'esordio, ritenuto impossibile da distribuire, viene seguito da "The Elephant Man" (1980), strepitoso adattamento dei libri di Frederick Treves e Ashley Montagu sull'uomo elefante Joseph Merrick, vissuto a Londra in età vittoriana. Sponsorizzato da Mel Brooks, che collabora alla produzione, il film interpretato da Anthony Hopkins e John Hurt riceve 8 nomination agli Oscar.
L'insuccesso del controverso "Dune" (1984), simbolo di una spinta al sogno, tutto americano, del kolossal firmato, viene obliato due anni dopo dall'onirico e ansiogeno "Velluto blu" che segna, insieme al precedente, l'esordio cinematografico di Kyle MacLachlan, "l'uomo innocente che è interessato ai misteri della vita". Assieme all'attore di Yakima si legano al film – e a Lynch – Angelo Badalamenti, con il quale proprio nel 1986 comincia un sodalizio supremo, e Isabella Rossellini, con la quale il regista ha una relazione.
Il 1990 viene aperto da "Twin Peaks", la Serie per eccellenza. Ideata con Mark Frost, la sua realizzazione non è priva di polemiche sugli sviluppi della trama che lo portano ad abbandonare il progetto per andare a vincere la Palma d'Oro a Cannes con "Cuore selvaggio", basato sull'omonimo romanzo di Barry Gifford. La serie resta l'opera più popolare della sua produzione e narra le strane e inquietanti vicende di una cittadina apparentemente tranquilla (filo narrativo che si trovava già in "Blue Velvet"). Con i circa 30 episodi di "Twin Peaks" MacLachlan si consacra come attore cult e Laura Palmer diviene uno dei simboli degli anni Novanta. Nel '92 Lynch scrive il prequel "Fuoco cammina con me", in cui si mostrano gli ultimi 7 giorni di vita della ragazza assassinata. Accompagnato da recensioni negative e scarso entusiasmo da parte di pubblico e attori, il film vede il cameo del compianto David Bowie nei panni dell'agente scomparso Philip Jeffreys, in una scena da delirio onirico.
Capolavoro indiscusso è "Mulholland Drive" del 2001 – nel mezzo ci sono "Strade perdute" (1996) e "Una storia vera" (1999) – concepito inizialmente come una serie televisiva e trasformato in lungometraggio grazie al finanziamento di Canal Plus. Lynch vince la seconda Palma d'Oro per un prodotto espressionista che mostra il lato oscuro e inquietante della Città degli Angeli. È infatti attorno alla lunga e vecchia Mulholland Drive che si inerpica un enigma a metà tra allucinazione e realtà, dalle molteplici interpretazioni, o anche semplicemente "una storia d'amore nella città dei sogni". Un film disturbante e pieno di sottorame, scandito dal mantra "This is the girl". A Los Angeles gira anche l'ultimo film, "L'Impero della Mente" (2006), presentato a Venezia nella serata del Leone d'Oro alla carriera.
Alla base del cinema di Lynch c'è un groviglio perturbante. Le sue opere si distinguono per l'aura visionaria e l'atmosfera straniante, la sua ricerca è sempre partita dall'anticamera della realtà ed è proseguita – e proseguirà – nei meandri del subconscio, delle paure e del suono che la mente produce.

Daniele Sidonio 20/01/2016

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