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"The Shape of Water", ovvero: come incantare il pubblico

Di cosa parliamo quando parliamo di grande cinema? Di "The Shape of Water", per esempio.
Perché in questo film leggero e densissimo che ha conquistato Venezia c’è tutto. C’è la dolcezza della fiaba con i sospiri della storia d’amore (con una peculiare e per questo potente carica erotica) e c’è la tensione del thriller, la spy story, i “diversi” (umani e non) e un citazionismo cinematografico così raffinato da diventare omaggio, sullo sfondo confettato ed elegante degli anni ’50.
C’è soprattutto, da parte di Guillermo del Toro, una conoscenza e una padronanza del mezzo cinema così evidente e rassicurante che ci si abbandona subito e totalmente alle immagini, sicuri che a condurre ci sarà la persona giusta.
Si parla spesso dei diversi, dei “freak”. Del Toro (che è anche sceneggiatore insieme Vanessa Taylor) ne ha fatto il centro di quest’opera: Elisa è muta, Giles è omosessuale, Zelda è nera, e “la creatura” è, appunto, una creatura indefinibile, anfibia e umanoide, mostruosa e bellissima (che ha le stesse sembianze de Il mostro della laguna nera).
La particolarità non è tanto aver fatto degli emarginati dei protagonisti – non sarebbe affatto la prima volta – ma la sensibilità con cui il regista ha impostato questo quadro, non scadendo mai nella commiserazione, mantenendo sempre un’aura di salvifica ironia.Theshapeofwater3Che sul set si stesse girando qualcosa di magico deve essere stato evidente anche agli attori, tutti incredibilmente ispirati nel dare ai loro personaggi una forza dirompente. Sally Hawkins fa la prova della vita, dando alla protagonista Elisa la voce che non ha attraverso degli occhi che dicono tutto, Richard Jenkins danza meravigliosamente tra il burlesco e il tragico, Octavia Spencer è una forza della natura, e Michael Shannon è… Michael Shannon.
La forma dell’acqua (questo il titolo italiano) è anche un film molto stratificato, bello già al primo livello di lettura, ma ancora più intenso e commovente se si scende in apnea. C’è addirittura un trascinante sottotesto politico-umanitario, e il pubblico di tutto il mondo, ma soprattutto quello italiano, non può non rimanere colpito da questo “altro” (che alcuni trattano come “mostro”) che arriva dal mare e che è così ottusamente sfruttato da parte di alcune istituzioni.
Il “se non facciamo niente, siamo niente!” di Elisa è un proclamo di una forza e di un’intensità che non lascia scampo e che è diretto a ognuno di noi, agli infami che vogliono i muri, e a tutti noi vili che non li vogliamo ma che non facciamo niente (è bene ricordare che Del Toro è messicano).
Quella degli anni ’50 è solo una scelta funzionale al racconto per alcune caratteristiche (la guerra fredda, il razzismo che era credenza comune e un non sgradevole senso di nostalgia). In realtà The Shape of Water, come ogni favola, è una storia senza tempo, possibile ieri, oggi, e di certo anche domani. La fotografia, gonfia e accattivante, avvolge la narrazione di una magia così palpabile, che rende tutto ancora più attraente e misterioso.
Se Georges Méliès, uno dei padri del Cinema e il padre del cinema fantastico, potesse mettersi seduto per due ore a guardare questo film, sarebbe orgoglioso di vedere dove la sua creatura è riuscita ad arrivare.

Alessio Altieri 12/02/2018

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