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Già dal trailer era chiaro che con il suo Suspiria - in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2018 - Luca Guadagnino volesse discostarsi dal cult di Dario Argento. I colori desaturati in morbide tinte pastello e i grigi densissimi, agli antipodi rispetto al caleidoscopio di colori fluorescenti dell’originale, erano già garanzia di una presa di distanza, nonché dell’approfondimento di una ricerca cromatica avviata da tempo. Quello che non si poteva ancora immaginare era quanto oltre si fosse spinto il regista.
C’è la RAF (Rote Armee Fraktion), il gruppo terroristico di estrema sinistra responsabile di più di 30 omicidi, c’è il muro che divide l’ovest dall’est e ci sono le scorie di un passato nazista. Siamo a Berlino ed è il 1977 (anno di uscita del primo Suspiria). Qui Guadagnino ambienta la vicenda che nell’originale ha luogo a Friburgo, insistendo sul contesto storico-politico. C’è poi uno psicologo divorato dal rimorso per non aver salvato la moglie dal nazismo che diventa uno dei protagonisti della vicenda, segnando l’apertura di più percorsi narrativi, in opposizione alla linearità del primo film. E ci sono loro, le streghe della Markos Tanz Company e i loro corpi, erotici e demoniaci. C’è infine la danza, che il regista lusinga anche quando non si balla, con i suoi fluidi movimenti di macchina, i piani sequenza virtuosi e le zoomate che evocano atmosfere anni ’70 o altrimenti con un montaggio ritmico. Danza contemporanea però (Bausch, Wigman e Graham tra i modelli), in cui il movimento si libera dai codici del balletto e si compone di gesti eterogenei, fratturati da cambi improvvisi, con risultati disarmonici e brutali, così come la regia e l’immaginario dell'autore ibridano continuamente, spaziando dalla ricercatezza del piano sequenza all’estetica da (anti)videoclip, dall’onirismo sperimentale allo splatter più trash, lasciando basiti per sfacciataggine e qualità delle soluzioni visive. Suspiria
Se dunque nel film di Argento la danza (limitata tra l’altro al balletto classico) è solo un orpello relegato allo sfondo, qui diventa essenziale ai fini dell’intero film. Non a caso, i tre momenti migliori sono momenti di danza: l’uccisione della dissidente, la coreografia dell’ultima sera e il delirante pre-epilogo virato in rosso, - c’è chi ha lamentato lo scollamento delle musiche di Thom Yorke rispetto alle immagini, quando in realtà, in quest’ultima sequenza almeno, la disarmonia tra musica e video è un valore aggiunto che amplifica la portata straniante dell’operazione. Soprattutto, se nel film di Argento le streghe erano odiose e repellenti nel nuovo Suspiria esercitano al contrario un fascino ammaliante, tanto da spingerci ad entrare nel loro mondo oscuro per carpirne i segreti (e il potere!), con un crudele ribaltamento di prospettiva. Lavorando sui corpi di queste incantatrici Guadagnino esalta la componente faustiana della storia, la tentazione di un patto col diavolo a cui siamo tutti esposti, spesso anche perché inclini a scambiare il male per il bene, tra specchi che confondono la percezione e simulacri ingannevoli, così come accadde nella Germania nazista, così come accadeva alla RAF nel ’77. Il male esiste da/per sempre e si nutre del rimorso degli uomini, in una catena che è il vero incubo della storia (il terrorismo rosso come risposta alla dittatura nera).
“Sgangherato e sgangherabile” come un albo di Dylan Dog, Suspiria spiazza, sovverte, lascia attoniti come un oggetto eccentrico talvolta osservato con diffidenza, e non tanto per l’enorme libertà espressiva quanto per una smodata velleità intellettuale. Si ha l’impressione che i molti spunti riflessivi aperti da Guadagnino non siano sufficientemente approfonditi e vengano accatastati in modo rapsodico. Ma il coraggio di assumersi dei rischi, l’enorme ambizione del regista, - limite e pregio del suo cinema -, ci hanno comunque consegnato una delle visioni più sconvolgenti di quest’anno, un film capace di stregarci, nonostante le imperfezioni.

Riccardo Bellini 05/09/2018

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