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Jason Reitman torna alla regia con The Front Runner, un film un po’ biopic e un po’ docudrama in cui Hugh Jackman interpreta Gary Hart, candidato democratico alle presidenziali americane del 1988 travolto da uno scandalo sessuale che ha rivoluzionato il modo di fare giornalismo in America e non solo.
Dopo un risultato mediocre alle precedenti elezioni, il senatore del Colorado Gary Hart parte da favorito nella lotta interna tra i democratici. Hart si fa paladino della denuclearizzazione, di una riforma economica e di politiche di inclusione sociale, creando un nutrito seguito di giovani ammiratori che si offrono volontari per la sua campagna. Il suo fascino e’ irresistibile: per chi lavora con lui, per i giornalisti e soprattutto per le donne.
Hart, infatti, che davanti alle telecamere si mostra uomo moralmente integro che crede ciecamente nella famiglia e nella separazione della vita pubblica e privata, viene scoperto con un’amante dai reporter del Miami Herald, giornale con bassa tiratura che preferisce la cronaca sportiva a quella politica. Il caso si ingrandisce a tal punto che anche il Washington Post e’ costretto a seguirlo pur di “stare sulla notizia”, trasformando Hart nella vittima di un linciaggio mediatico che sancisce la fine della sua carriera politica.
“Nessuno ci obbliga a pubblicarle” dice il giovane AJ (Mamoudou Athie), reporter di belle speranze del Washington Post, quando un anonimo mittente fa recapitare delle foto incriminanti del senatore Hart. Emblematica la risposta del caporedattore Ben Bradlee (Alfred Molina): “Invece sì AJ, adesso sì”. Quell’ “adesso” diventa il simbolo di una rivoluzione mediatica epocale, vale a dire la nascita di un giornalismo che abbassa il livello del dibattito politico portandolo a quello di chiacchiera da bar, imponendo di trattare gli esponenti politici come star hollywoodiane da pedinare e paparazzare in ogni dove.front runner 2
La condotta “morale” di un candidato politico dovrebbe essere rilevante a livello mediatico? Fino a che punto la vita privata di un personaggio pubblico può e deve essere indagata?
Sono queste le domande che Reitman pone, mostrando come spesso la corruzione morale degli accusatori non sia così lontana da quella degli accusati. I media sono sempre al centro dell’attenzione, sin dalla sequenza iniziale in cui mentre si svolge un comizio lo sguardo finisce non sui protagonisti apparenti, i candidati intervistati, bensì sui reali protagonisti della macchina mediatica, i cronisti.
Reitman, gia’ apprezzato per Thank you for smoking (2005), Juno (2007) e Tra le nuvole (2009), si affida a un gioco di primi piani e zoom conferendo un taglio documentaristico al film che, grazie anche a dei dialoghi mai banali o retorici, gli permette di ottenere una buona riuscita in fatto di realismo e verosimiglianza. Il problema piu’ grosso rimane forse nel ritmo, appesantito da una prima mezz’ora povera di dinamismo narrativo e da uno sviluppo macchinoso che impedisce di apprezzare al massimo un film altrimenti valido per contenuto e recitazione.


Marco Giovannetti  01/03/2019

Photo credits: Mymovies

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