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Un uomo rincorre con la pistola un’ombra che fugge disperata tra le strade scure di una Londra ottocentesca, accorgendosi tardi, quando l’altro è già a terra agonizzante tra le braccia della moglie, che è l’uomo sbagliato e che la sua è solo un’ossessione psicotica.
In questo modo, dando immagini al racconto dell’avvocato difensore dell’omicidio, il regista P. B. Sherman, con "Il professore e il pazzo", trasforma immediatamente lo spettatore cinematografico nello spettatore di quel processo e di un evento storico-culturale realmente accaduto.
Si tratta della creazione dell’Oxford English Dictionary portata avanti dallo studioso James Murray con la determinante collaborazione di quello stesso omicida, il dottor William Chester Minor, rinchiuso in un manicomio criminale.
Sotto lo stimolo della realizzazione di un’impresa mastodontica, quella di un dizionario della lingua inglese antica e moderna, due vite con un passato e un futuro profondamente differenti si incrociano nella stessa ambizione presente: redimere le proprie esistenze.
Da un lato uno studioso scozzese, autodidatta e privo di titoli, che ambisce al riconoscimento accademico per dare un senso ad una vita trascorsa sui libri, anche a discapito della propria famiglia, e dall’altro un ex chirurgo dell’esercito americano, ossessionato da un uomo inesistente, parto mentale di un disturbo post-traumatico che lo porta ad essere rinchiuso dentro il manicomio criminale.
Due personaggi al limite della società, distanti ma vicini nel loro essere estranei alle convenzioni, persi e disposti a perdere tutto ciò che ancora possiedono per raggiungere la sola possibilità rimasta loro: una possibilità impossibile, illudere lo scorrere del tempo che li sta condannando fissando il divenire della lingua.
Ad interpretare Murray e Minor sono due mostri sacri del cinema americano, incredibilmente simili ai loro personaggi per il modo in cui si pongono al limite dello star sistem hollywoodiano. 
Murray è un Mel Gibson attempato ma fisicamente prorompente, impersona un uomo  esterno alle leggi sociali, un professore senza il titolo di professore che trasuda un’etica cattolica della redenzione, vicina a quel fondamentalismo per cui Gibson ha fatto spesso parlare di sé.
Minor è un Sean Penn in una interpretazione altalenante: a tratti sopra le righe, grazie allo sguardo vuoto e alla voce cavernosa che conducono lo spettatore nelle ossessioni della sua mente, a tratti piatta, per colpa di quello stesso sguardo e di quella stessa voce che, stantii, non accennano ad alcuna modificazione, ponendo lo spettatore di fronte ad un personaggio amorfo.
Nel loro inedito incontro, Gibson e Penn, riescono a giocare con la sceneggiatura come Murray e Minor giocano con i lemmi: come due animali educati, senza annusarsi istintivamente e senza travolgere lo spettatore.
Non sorprende che dietro al nome di P. B. Sherman si celi quello dell’iraniano Farhadi Safinia, sceneggiatore della discussa opera di Mel Gibson Apocalypto. Si ha l’impressione, infatti, che la devozione di due uomini alla realizzazione di un’impresa molto più grande di loro, resto profondamente legata al messaggio religioso della redenzione. In questo modo, il regista mette in secondo piano una grande varietà di altri aspetti che circondano la storia, primo tra tutti quelli interessante di un gioco di ruoli tra i due personaggi.
Resta solo accennato, infatti, quel lavoro sull’apparenza dei ruoli sociali, capace di echeggiare, anche grazie all’qttualità dei personaggi, fino ao giorni nostri: professore è davvero solo chi si è rinchiuso dentro l’università, come pazzo è solo chi è stato rinchiuso in manicomio?

Alessio Tommasoli

 

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