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Nel mondo della tecnologia, dell’audio-visuale, di occhi costantemente illuminati da sfondi di computer, o immersi in schermi cinematografici, nemmeno un’arte dai caratteri così antichi come quella delle fiabe ha saputo resistere all'onda d'urto del cinema; una forza che, sin dai tempi dei fratelli Lumére, ha travolto l’immaginazione dell’uomo. Anzi, sostenuto dal genio e dalla lungimiranza di Walt Disney, quello dei cartoni animati è stato uno dei primi campi ad aver compreso la portata rivoluzionaria di questo universo, traducendo in codici filmici ciò che fino a poco prima era destinato alla tradizione orale fiabesca. A correre veloce a fianco al colosso disneyano (tanto da esserne poi inglobata) è comparsa alla fine degli anni Ottanta, la Pixar Animation. Nata come divisione della Lucasfilm di George Lucas, la Pixar ha saputo negli anni riservarsi un posto d’onore negli annali dello sviluppo tecnologico d’animazione. Acquisita da Steve Jobs nel 1984 (al patron dell’Apple si deve infatti il nominativo di “Pixar Animation Studios”) è di due anni seguenti la creazione del cortometraggio che spalancò le porte del successo di questa azienda. Nel 1986, infatti, John Lesseter, ispirandosi alla lampada appoggiata sulla sua scrivania, diede vita a Luxo Junior, la lampada “bambina” protagonista del cortometraggio omonimo, nonché logo della stessa Pixar. In Luxo Junior le due lampade, genitore e figlio, sono animate in una scena di vita quotidiana.

Rari gli insuccessi che l’azienda ha conosciuto sin dai tempi del suo primo lungometraggio - "Toy Story" - incasellando perlopiù plausi dalla critica e consensi unanimi dal pubblico. Normale dunque chiedersi quale sia il segreto nascosto dietro a così tanto successo.
La Disney Pixar ha il dono di guardarsi intorno, rileggere il mondo che ci circonda, i problemi che ci affliggono, tramutandoli in sceneggiature e personaggi da animare. I creatori di "Ratatouille", "Inside Out" e "Cars" non si limitano cioè a rinnovare morali favolistiche e valori essenziali, quanto edulcorare eventi, movimenti, rivoluzioni che scuotono la nostra società in tutti i suoi campi, rendendoli facilmente assimilabili e comprensibili anche a un pubblico più giovane. E qui il termine “anche” non è usato a caso, ma fortemente voluto. Già, perché un altro punto di forza di casa Pixar è il suo non volersi indirizzare solo ed esclusivamente a un pubblico infantile, come invece fatto dai grandi concorrenti (si pensi solo a Illumination Entertainment), quanto elevarsi ai grandi, a quell’universo di spettatori che ancora preservano intatto il fanciullo che è in loro, che amano le fiabe e i cartoni animati, ma allo stesso tempo restano attenti alle problematiche del mondo. Non che la Dreamworks o la Warner Bros. non integrino i propri intrecci di messaggi sensibili all’accettazione di ciò che inspiegabilmente considerato come “diverso” (si pensi a "Shrek") o a temi sociali scottanti come l’adozione e l’importanza della figura paterna nella crescita di un figlio ("Kung Fu Panda 3"), eppure in essi risulta predominante un aspetto ludico e frivolo che preferisce generare una risata nel proprio spettatore, piuttosto che sconvolgerlo emotivamente. toy story

Un universo multi-stratificato e dalle molteplici chiavi di letture adatte a ogni fascia d’età caratterizza invece i prodotti Pixar. Se per i più piccoli ogni nuova creazione può essere interpretata come fonte di intrattenimento e ludico apprendimento dei messaggi essenziali alla loro crescita, per i grandi sono punti di confronto e spunti di riflessioni circa ciò che li circonda nel mondo esterno. L’importanza dell’amicizia e del reciproco aiuto di "Toy Story" lascia dunque spazio ad argomenti quali l’indipendenza femminile in un mondo ancora non stravolto dalla campagna #metoo ("Ribelle – The Brave") e prettamente dominato da un’indole sessista (un universo poi ripreso e ben analizzato nel recentissimo "Gli Incredibili 2"); vi è poi la difficoltà nell’accettazione del lutto e del senso di famiglia di "Alla ricerca di Nemo", la morte stessa in "Coco"; l’abbattimento delle barriere e dei pregiudizi in "Ratatouille", la neurologia e l’importanza di ogni singola emozione che ci domina in "Inside Out" e, perfino, l’inquinamento e il sempre più spaventoso spettro dell’obesità dilagante con "Wall-E". Compendi perfetti di risate e lacrime di commozione: ecco cosa sono i lungometraggi firmati Pixar. Studi antropologici e saggi di attualità infarciti da battute alacri e software di animazione sempre all’avanguardia. I cartoni animati Disney Pixar piacciono semplicemente perché rasentano la perfezione; sono chiavi pronte ad aprire porte su antri nascosti della nostra mente e del nostro cuore; scosse elettriche capaci di rianimare sogni e ricordi sopiti per anni. Macchine del tempo che ci conducono verso tempi e spazi passati; strade lastricate di riflessioni e pensieri, dove ogni curva è un passo verso la consapevolezza del mondo adulto, e ogni rettilineo – paradossalmente – un cammino spianato verso un universo solo apparentemente perduto: l’infanzia.

Elisa Torsiello 05/10/2018

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