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Un oggetto, un simbolo e infinite storie: la bicicletta non è solo il mezzo di locomozione migliore per misurare il grado di civiltà di un Paese – classifica in cui i nemici di Greta Thunberg si posizionano ultimi, Italia compresa – ma anche un vero e proprio strumento di indagine antropologica capace di raccontare il cambiamento sociologico e culturale della nostra nazione, e dunque l’evoluzione ontologica del suo esistere. La bicicletta è l’emblema dell’Italia non ancora motorizzata, in gran parte sottoproletaria, l’Italia dei conflitti mondiali e dell’immediato dopoguerra, simbolo di libertà ed emancipazione, regina dello sport all’epoca più seguito in Italia, il ciclismo, che manifestava dal 1909 tutta la sua sofferta bellezza in un evento dal valore forse inconcepibile per noi oggi: il Giro d’Italia. giro2
E non è affatto un caso che i più grandi cronisti di questo evento fossero i letterati del tempo, da Vasco Pratolini a Dino Buzzati, passando per Alfonso Gatto. D’altronde il ciclismo e la letteratura sono due forme d’arte che richiedono una grande resistenza. Così, fino a quando la competizione non iniziò a essere trasmessa in tv, determinando la vittoria schiacciante del suo potenziale commerciale su quello antropologico, bisognava affidarsi solo alle parole di questi intellettuali che offrivano la possibilità unica di raccontare e descrivere tutta la nostra penisola piena di ostacoli geografici e linguistici. Con una forte dose di realismo sentimentale, quei cronisti sono stati capaci di raccontare un’epoca, di fotografare una popolazione che, timida, tornava a vivere e che si accalcava lungo le strade per seguire campioni e gregari. Solo così i lettori potevano immaginare le storie di paesaggi, di duelli, di bellezze naturali, storie di fatiche e storie di campioni, come l’eroe giusto e cattolico Bartali e il rivoluzionario Coppi, i due volti dell’Italia. Eppure l’unica vera protagonista rimaneva e rimane tutt’ora la bicicletta.

La popolarità della bicicletta le procura una menzione d’onore anche nel cinema nostrano, apparendo in svariati film con una valenza sempre diversa. Nel 1948 la vediamo in due pellicole decisamente note, Totò al Giro d’Italia di Mario Mattoli e in Ladri di biciclette di Vittorio De Sica. Nel primo film la bicicletta simboleggia la sua essenza sportiva per eccellenza ma anche il mezzo per raggiungere ciò che il protagonista brama - l’amore di Donatella - al punto da vendersi al diavolo. La pellicola è inoltre il primo tentativo concreto di inserire il personaggio di Totò all’interno dell’attualità contemporanea, come dimostra la partecipazione di numerosi campioni di ciclismo dell’epoca. Diverso è il caso del film di De Sica, dove la bicicletta non solo è onnipresente ma è anche protagonista. Da mezzo popolare di trasporto diventa, in seguito al furto, simbolo della perdita del lavoro e della disperazione di una famiglia che aveva riposto tutte le sue speranze di sopravvivenza in quell’oggetto. Le biciclette rappresentano qui ora la tentazione che spinge Antonio a rubare, ora l’esca del pedofilo che tenta di avvicinare il piccolo Bruno.
In Bellezze in bicicletta di Carlo Campogalliani – sono passati appena due anni, è il 1951 – la bicicletta ha una valenza totalmente diversa: qui le due protagoniste la usano per inseguire il loro sogno di successo, in un’atmosfera molto più distesa e leggera. D’altra parte di lì a poco le due ruote saranno sostituite dalla motocicletta, grazie all’iconica Vespa di Vacanze Romane.

La-bicicletta-verde-dhsj-701x487Facciamo ora un grande salto indietro nel tempo. 125 anni fa Anne Londonderry fu la prima sportiva a fare il giro del mondo in bicicletta, all'epoca in cui le donne che inforcavano un sellino erano viste come uno strumento del demonio. Fu anche grazie al ciclismo, al senso di libertà cui veniva associato, che il retaggio venne superato e le donne del dopoguerra iniziarono a indossare i pantaloni e a guidare le biciclette dei mariti. Eppure in diverse aree del Medio Oriente la discriminazione sulle biciclette persiste: fino al 2013 in Arabia Saudita le donne non potevano possederla. Tutto è cambiato dopo l'uscita de La Bicicletta Verde. Il film di Haifaa Al-Mansour, la prima regista saudita della storia, racconta la ribellione di una bambina decisa a conquistare la sua libertà attraverso le due ruote. E la finzione è poi diventata realtà: nel 2013 l'autorità religiosa dell'Arabia Saudita ha sancito lo storico diritto delle donne di guidare la bicicletta.
day-i-became-a-womanSulla stessa scia si muove il pluripremiato The Day I Became a Woman, della regista iraniana Marzieh Meshkini. Il film, realizzato nel 2000, racconta le storie di tre donne in cerca della propria identità, in un paese in cui i ruoli di genere sono ancora fortemente delineati, e le conseguenze per chi vuole liberarsene possono ancora essere fatali. Tra queste storie c'è quella di Ahoo. Suo marito reagisce alla decisione di lei di partecipare a una gara di ciclismo con la minaccia del divorzio. Ahoo è determinata a continuare per la sua strada, ma presto interverranno gli uomini della sua famiglia a farla ritornare forzatamente nei suoi obblighi sociali di donna. Da Anne Londonderry a Haifaa Al-Mansour a Marzieh Meshkin, la rivoluzione si fa ancora in sella.

Pedali, sellino e tanto sudore, nel passato e nel presente, come le storie del cinema ci raccontano, restano un simbolo forte di emancipazione, di fatica per il raggiungimento della libertà, prima degli uomini come rappresentanti “universali” di una certa fetta di società, e oggi più che mai delle donne di una parte consistente del mondo, che ancora vedono come un miraggio tanti diritti che noi, in Occidente, diamo ormai per scontati. Al di là delle lotte civili di ogni tempo, la bicicletta apre corpo e mente alla scoperta, e potremmo così interpretarla come un'interessante metafora della vita, come suggeriscono le parole della produttrice e sceneggiatrice statunitense Gillian Klempner Willman: «viaggiare in bicicletta è un'emozione forte: dapprima le difficoltà e la fatica scoraggiano, deludono, inquietano... ma poi, chi ha spirito indomito non si fa sconfiggere dalla staticità e dalla routine, perché l'unica possibilità che ha di vivere realmente è quella di seguire la strada che gli indicano le emozioni».

Sara Marrone
Diletta Maurizi
Giulia Mirimich
Alessandro Ottaviani

5/6/2019

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