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Giovedì, 19 Aprile 2018 12:39

Akira, trent'anni dopo

L’anno è il 2019. Sulle ceneri della vecchia Tokyo, distrutta agli albori della Terza Guerra Mondiale, sorge Neo Tokyo. Gonfia di corruzione, decadente, animata da continui scontri fra la polizia e i manifestanti anti-governativi, Neo Tokyo è attraversata da bande di giovani motociclisti, che si fanno la guerra per strada, a costo di rimetterci la vita.

Fra loro c’è il giovane Kaneda, giubbotto rosso come la moto velocissima che guida tutte le notti, e Tetsuo, suo amico d’infanzia. Tetsuo è stanco di essere sempre difeso da Kaneda e vorrebbe dimostrare ai compagni di gang il suo valore. Non sa che proprio quella notte incontrerà l’Esperimento Numero 26 e un potere ingovernabile si risveglierà dentro di lui, mentre il nome di Akira comincerà a tormentare anche i suoi sogni.Akira 1

Uscito trent’anni fa e ambientato in un futuro (fittizio) che dista appena un anno dal nostro presente, Akira è diventato un classico dell’animazione giapponese, che riesce ancora a parlare al pubblico del 2018, sia sotto il profilo tecnico che per quanto riguarda la sua storia. Forse è anche per questo che Dynit ha voluto celebrarlo, riportandolo nelle sale italiane esclusivamente il 18 aprile con un nuovo ridoppiaggio. Adattamento più fedele, sì, ma qualche dubbio sorge sulle voci, non tutte all’altezza di rispecchiare il dramma lacerante dei personaggi di Akira.

Perché Kaneda e soci si muovono in una realtà che, per quanto esasperata, tanto lontana dalla nostra non sembra essere. Il cupio dissolvi delle masse, che si affidano a santoni e profezie apocalittiche perché non credono più nelle promesse di un governo imbelle, si intreccia alla litigiosità di politici, che preferiscono insultarsi e giocare allo scaricabarile, piuttosto che affrontare una situazione che sta sfuggendo di mano.

Nel mezzo, da un lato c’è chi pensa di risolvere il vuoto di potere con muscolari prove di forza – bussare alla voce “il golpe militare del colonnello Shikishima”. Poi c’è chi partecipa a una rivolta anti-governativa sotterranea, senza sapere di essere a propria volta manovrato da quegli stessi soggetti che vuole combattere. E poi ci sono tutti gli altri, gli sbandati che una guida se la devono dare da soli. Come Kaneda, che insegue la ribelle Kei per un puro capriccio amoroso (e poi finisce coinvolto in macchinazioni più grandi di lui). O come Tetsuo, che – non più impotente – decide di usare la sua forza per distruggere tutto.

Ma Akira, tratto dall’omonimo manga e diretto da Katsuhiro Otomo (che quel manga aveva disegnato) è un capolavoro anche e soprattutto per le sue tecniche d’animazione. Nacque dello sforzo congiunto di più di dieci, grandi studi d’animazione giapponesi – che si unirono nella Akira Committee per racimolare il capitale e la forza lavoro necessari a realizzarlo. È il frutto maturo di un’animazione tradizionale ancora realizzata su fogli di celluloide (la famosa cel animation o animazione su rodovetro), che ha fatto sì che ogni gioco di luce, ogni intermittenza delle insegne al neon, venissero realizzate a mano, fotogramma per fotogramma. Con un piccolo aiuto della CGI, lì dove si scatenano i poteri ESP tutt’attorno al povero Tetsuo.Akira 3

Akira assume ancora proporzioni trionfali, proiettato sullo schermo di un cinema, e coinvolge lo spettatore – ormai abituato a ben più recenti effetti speciali di matrice hollywoodiana – in un’esperienza immersiva, che toglie il fiato. Non si può spiegare altrimenti la sensazione straniante della luce dei fari, che restano impressi come scie luminose sulla pellicola, anche dopo che le motociclette sono sparite all’orizzonte. Alla grafica curatissima si sposa una colonna sonora – realizzata da Shoji Yamashiro – che sa essere stordente, come la Neo Tokyo elettrica e decadente in cui Kaneda si muove. Ma sa anche atterrire e soprattutto martellare nei timpani degli spettatori, come il dolore nella testa di Tetsuo, sotto forma di cori cupi e ossessivi.

Katsuhiro Otomo, anni dopo, ebbe a pentirsi di quella sceneggiatura, che riduceva forse troppo la storia contenuta nei sei volumi del manga originale e rendeva certi passaggi e lo stesso finale di difficile comprensione. Tuttavia, trent’anni dopo, si può solo convenire che Akira abbia ancora tanto da insegnare e mostrare, anche allo spettatore più scafato in fatto di animazione e cinema post-apocalittico. E riesce a farlo con grande stile.

Ilaria Vigorito 19/04/2018

In ritardo di venti minuti a causa di una scaletta fitta abbastanza da far sconfinare il panel sulla Goldrake Generation, la XV edizione può finalmente cominciare all’insegna della fretta. Stefano Brusa e Perla Liberatori – conduttori storici della serata di premiazione – ci tengono a ricordare che i tempi sono stretti e la scaletta impegnativa. Dopo un video d’apertura, che omaggia in maniera ironica il lavoro dei doppiatori sulle note di ‘Occidentali’s Karma’, è il turno dei ringraziamenti di rito: a Vix Vocal, l’app che si presenta come lo Shazam dei doppiatori, e Maurizio Pittiglio, che ha realizzato le foto dei doppiatori usate per la grafica delle premiazioni.
Dopo aver elencato i membri della giuria del Gala, segue un omaggio in video dei doppiatori venuti a mancare nel corso dell’anno, e c’è spazio anche per un ricordo a Fabrizio Frizzi, voce di Woody, il cowboy giocattolo più famoso della storia del cinema d’animazione.
Tocca poi a una novità di questa edizione: il Premio de Angelis, voluto dalla famiglia di Vittorio de Angelis e dedicato, dicono i presentatori stessi, alla “creatività” dei direttori del doppiaggio, che viene assegnato a Giorgio Bassanelli Bisbal, al lavoro su ‘Corpo e Anima’. Gala Doppiaggio 2
La scaletta della serata segue un ordinamento misto e passa subito al Premio per la miglior voce femminile: la giuria sceglie Laura Romano, voce di Viola Davis in ‘Barriere’, mentre il pubblico premia Maria Pia di Meo per la sua interpretazione di Meryl Streep in ‘Florence’.
È la volta poi di un riconoscimento molto caro al Gran Gala dei Doppiatori, il Premio Andrea Quartana, intitolato all’omonimo doppiatore scomparso prematuramente, che premia le voci emergenti. Quest’anno tocca a Luca Mannocci, fra gli altri voce di Ezra Miller in Justice League.
Si passa alla Miglior voce femminile per un cartone animato e giuria e pubblico riconoscono unanimemente il titolo a Emanuela Ionica, per la sua sentita interpretazione di Vaiana in ‘Oceania’. Si ritorna ai riconoscimenti speciali con il Premio Ferruccio Amendola, che va a Nanni Baldini: il doppiatore non può essere presente di persona ma invia un ironico video di ringraziamento, in cui si presenta suonato e confuso come Rocky alla fine del suo scontro con Ivan Drago.
Per il Miglior doppiaggio di una serie TV, vincono per la prima volta a pari merito il premio della giuria ‘Better Call Saul’ e ‘Little Big Lies’, diretti rispettivamente da Alida Milana (Sdi Media) e Riccardo Rossi (CDC Sefit), mentre il pubblico sceglie decisamente la serie che ha come protagoniste Nicole Kidman e Reese Witherspoon.
Per il Miglior doppiaggio di una serie d’animazione la scelta è totalmente affidata al pubblico che, fra le acclamazioni dei presenti in sala, fa cadere le sue preferenze su ‘Miraculous: Le storie di Ladybug e Chat Noir’, diretto da Stefanella Marra per Dubbing Brothers.
A spezzare in due una serata che è ancora lunga ci pensano Federico Campaiola, Alessandro Campaiola e Alessio Nissolino che si presentano nella loro veste di trio comico FuoriSync, con un pezzo su Star Trek. L’intermezzo si allunga, quando i presentatori annunciano il premio non ufficiale ‘Vocine del futuro’: spazio dai toni autocelebrativi in cui i doppiatori premiano i propri figli, nella speranza che proseguano il lavoro dei genitori dopo piccoli ruoli minori svolti in serie e film d’animazione.
Si torna ai professionisti di una volta con il Premio alla carriera, assegnato ad Anna Rita Pasanisi (fra le altre, voce storica di Phylicia Rashad, la Claire Robinson de ‘I Robinson’) e Claudio Sorrentino (Ron Howard in ‘Happy Days’, John Travolta in ‘Pulp Fiction’, Mel Gibson in ‘Braveheart’). C’è spazio anche per i tecnici, che lavorano per confezionare i prodotti doppiati: a loro va il premio per il Miglior Fonico (Marco Santopaolo) e per il Miglior Assistente (Viviana Barbetta).
La giuria assegna a Riccardo Scarafoni – esilarante voce di Karen Crawley in ‘Sing’ – il premio per la Miglior voce maschile di un cartone animato, mentre il pubblico gli preferisce Fabrizio Vidale, che ha interpretato sia nelle parti recitate che in quelle cantate Maui, co-protagonista di ‘Oceania’. C’è ancora una volta concordia di giuria e pubblico, invece, per il Miglior doppiaggio di un film: ritira entrambi i riconoscimenti Rodolfo Bianchi, direttore del doppiaggio per Studio Emme di ‘La La Land’. Gala Doppiaggio 3
Prima degli ultimi due premi, c’è ancora spazio per un intermezzo, questa volta musicale: Alex Polidori, doppiatore e cantante, presenta sul suo palco il suo ultimo singolo ‘Non lo faccio apposta’, sulla sua pessima abitudine di non presentarsi in orario in sala di doppiaggio. Miglior voce maschile per la giuria è Paolo Vivio, Johnny Flynn nella serie Genius; il pubblico sceglie Alberto Angrisano, Halit Ergenç in ‘Rosso Istanbul’. La serata si chiude con il premio per il Miglior doppiaggio di un film d’animazione: se lo dividono Marco Mete, direttore del doppiaggio per la Dubbing Brothers di ‘Sing’, premiato dalla giuria; e Fiamma Izzo, che per Pumaisdue ha curato ‘Oceania’ e viene scelta invece dal pubblico.
In grande ritardo, così come è cominciata, si chiude anche la XV edizione del Gala del Doppiaggio. L’appuntamento è al prossimo aprile, con la speranza di una maggiore puntualità dell’organizzazione.

Ilaria Vigorito - 08/04/2018

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