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Uno dei più grandi paradossi logici è quello del mentitore: cosa credere se un uomo. definito e autodefinitosi come un bugiardo, afferma di star mentendo? Un paradosso che, da sempre e oggi più che mai, riguarda la politica e le promesse elettorali dei suoi politicanti.
“Mó vi mento” è il nome del partito politico fondato da Achille Alfresco, un’idea geniale partorita dalla mente di uno stolto: se tutti i politici mentono affermando di essere sinceri, io vi dico invece la verità affermando che mentirò sempre.
Sullo sfondo, un intrigo comico e multietnico di storie d’amore e di interessi economici che girano intorno all’arrivista Achille, deciso a sposare la ricca ereditiera Elena, a sua volta innamorata del colto e insicuro Massimo, portaborse dello stesso Achille.

Non è realtà, anche se ne è poco distante, ma il film scritto e diretto da Stefania Capobianco e Francesco Gagliardi, nelle sale dal 16 Maggio, dopo aver debuttato alla 75° Mostra del Cinema di Venezia e aver vinto il premio come miglior lungometraggio al Festival Internazionale del Cinema di Salerno. Un’opera fondata sul doppio senso, sul ciglio che separa la realtà dall’ironia. Ed è proprio il doppio senso il vero protagonista di questo film corale, privo di un personaggio principale.
Ma, se da un punto di vista della sceneggiatura, questa coralità riesce perfettamente, da un punto di vista recitativo essa produce un livellamento dei ruoli che, inevitabilmente, permette anche allo spettatore più distratto di accorgersi del buon valore di pochi attori rispetto a quello scarso di molti altri. Tra i pochi, spicca Daniele Monterosi nel ruolo di Achille, capace di convincere lo spettatore della profondità del suo personaggio: senz’altro negativo per la mancanza di umanità che sottomette al proprio cieco utilitarismo, eppure, per certi versi, positivo rispetto al mondo politico, perché mosso da un ideale politico, pubblico, piuttosto che dal proprio tornaconto personale.
Mó Vi Mento è però una commedia paradossale, ironica ma non abbastanza grottesca da riuscire a non perdersi nell’universo del b-movie italiano, che solo in apparenza sembrava scomparso nel corso degli anni ‘80. La continuità di Mó Vi Mento con quel genere è senz’altro tracciata dalla presenza di due campioni storici dei b-movie italiani, Alvaro Vitali e Andrea Roncato. Due vecchi caratteristi la cui presenza al fianco di caratteristi più giovani può dimostrare una novità epocale per il b-movie italiano del XXI secolo: non pescare più gli attori dall’avanspettacolo, ma dalle fiction televisive.
Peccato, perché, se il soggetto ha la grande forza di ironizzare sulla società italiana contemporanea senza che il suo parossismo venga (ancora) superato dalla realtà stessa, la sceneggiatura si adagia fin troppo sulla comicità del doppio senso che, troppo spesso, risulta ridondante, vivendo su battute prive dei tempi comici e adatte piuttosto ad una banale comicità da bar.
La dimostrazione di questa ridondanza del doppio senso si ritrova nel titolo stesso, dove lo slogan geniale “Mó vi mento” viene inutilmente sostenuto da un altro slogan, meno brillante e ripetitivo, che ne fa il sottotitolo: “Lira di Achille”.

Alessio Tommasoli

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