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''Quest’uomo merita solo il più profondo disprezzo'' sentenziava Jacques Rivette dall’alto dei Cahiers du cinéma (n. 120, giugno 1961) parlando di Gillo Pontecorvo, in particolare della sua scelta di filmare il suicidio di una prigioniera di Auschwitz con un carrello molto elaborato nel film Kapò (1959). La tesi che sosteneva Rivette, in buona sostanza, era che non si può ricercare il virtuosismo di una composizione esteticamente aggraziata quando si filma un dramma come quello della morte in un campo di concentramento. Il tentativo di muovere lo spettatore a compassione in maniera forzata, quindi, degrada l’intento altrimenti nobile di voler mostrare un certo evento drammatico.Rivette fu decisamente troppo duro con Pontecorvo, ma la sua intransigenza può fornire lo spunto per una riflessione sul linguaggio cinematografico: si può, infatti, rendere glamour la morte ed il dolore? Quand’è che un regista eccede nel far leva sulla compassione dello spettatore?
Iniziamo col dire che Nadine Labaki, per il suo Cafarnao, merita grande rispetto. La regista libanese ha realizzato un film impegnato e molto complesso, scegliendo un tema spinoso cercando di far luce sulle condizioni disastrose dei minori e dei migranti in Libano. cafarnao manifestoIl film racconta la sfortunata vita del giovane Zain, figlio di una numerosa e povera famiglia di un sobborgo di Beirut. Scappato di casa, Zain viene aiutato da una profuga etiope senza documenti, Rahil, che gli affida suo figlio piccolo. Facendosi largo tra sfruttatori amorali e profughi diseredati, Zain finisce in carcere e matura la decisione di citare in giudizio i suoi genitori per un motivo singolare.
Cafarnao, però, è anche un film in cui forma e contenuto stridono, non combaciano, non vanno nella stessa direzione. Lo squallore e la miseria, passando attraverso la nitidezza e la ricercatezza di una fotografia sofisticata, spesso finiscono con il risultare sintetici, addolciti e inevitabilmente distanti. Le lenti anamorfiche di Christopher Aoun fanno quasi da filtro edulcorante ad una realtà che avrebbe potuto essere ancora più misera, più terribile, più autentica.002
Si ha in diverse occasioni la sensazione di assistere a uno spettacolo sapientemente studiato che fa del suo artificio uno strumento di commozione. Il monologo alla Tv ed il freeze-frame finale ne sono la riprova. Tutto (o quasi) si conclude per il meglio, la speranza è tenuta accesa da un sorriso e da un abbraccio che, a confronto con le immagini reali dei notiziari e dei social network, possono sembrare perfino stucchevoli.
Anche la bulimia contenutistica non aiuta il film che, se da un lato allarga il suo sguardo consolatorio a tutta una serie di tragedie umane che forse dovevano essere approfondite maggiormente, dall’altro necessiterebbe di qualche taglio di montaggio per tutte quelle sequenze che appesantiscono il film come inutili orpelli.
Nonostante ciò, Cafarnao trova una sua strada e per buona parte delle due ore il film riesce a coinvolgere, raggiungendo picchi di grande intensità drammatica grazie anche alla performance protagonista Zain Al Rafeea, profugo siriano in Libano notato dalla direttrice del casting mentre giocava in strada. Ed è anche vero che il film ha avuto una gestazione a dir poco problematica: 3 anni di scrittura hanno portato a 6 mesi di riprese e 2 anni di montaggio, lasciando i montatori a lavorare su oltre 12 ore di girato che devono aver reso il compito tutt’altro che facile.
Cafarnao è in sostanza un buon film che merita di essere visto, coscienti però che, al di là dello schermo, di miracoli se ne vedono ben pochi.


Al cinema dall’ 11 Aprile per Lucky Red, qui il trailer ufficiale.

Photo credits: Lucky Red


Marco Giovannetti
27/03/2019

“La mia responsabilità come artista è far riflettere le persone dando un volto umano ai problemi” è con queste parole che Nadine Labaki ha definito non solo il suo mestiere di regista e sceneggiatrice, ma soprattutto l’impegno sotteso alla realizzazione del suo ultimo film Cafarnao - Caos e Miracoli, vincitore del Premio della Giuria alla 71a edizione del Festival di Cannes. La regista libanese (nominata poche ore fa Presidente della Giuria "Un Certain Regard" di Cannes 2019), accompagnata dal marito e produttore Khaled Mouzanar, ha incontrato la stampa italiana alla Casa del Cinema di Roma per presentare il suo ultimo lavoro che, distribuito da Lucky Red, arriverà nelle sale italiane il prossimo 11 aprile. Cafarnao trascina lo spettatore in uno dei quartieri più disagiati di Beirut e nella vita di Zain, un ragazzino di dodici anni che porta in tribunale i suoi stessi genitori, con l’accusa di averlo messo al mondo ma non essere stati capaci di prendersi cura di lui.

L’infanzia, i maltrattamenti sui minori, i diritti dei bambini e l’immigrazione sono i temi centrali di Cafarnao - Caos e Miracoli, un film la cui lavorazione è durata circa tre anni, con un lungo periodo dedicato al brainstorming: “Ho impiegato mesi a fare ricerche proprio perchè non sentivo di aver titolo per lavorare su ciò che non avevo vissuto, su quella privazione di cui non ho esperienza. Non volevo che il film fosse basato sulla mia sola immaginazione ma bensì sulla realtà" racconta Nadine Labaki che per soddisfare pienamente questa sua esigenza di realismo, dopo aver trascorso molto tempo nei quartieri più svantaggiati di Beirut, nei centri di detenzione e nelle aule dei tribunali, ha scelto un cast di attori non professionisti: donne, uomini e bambini incontrati nei suoi anni di ricerche, le cui vite non sono poi così distanti da quelle ricreate dinanzi all’obiettivo, così da dare voce a molte di quelle comunità che ogni giorno lottano per la propria vita. La ricerca del casting e la realizzazione delle riprese sono state due fasi molto complesse della lavorazione di Cafarnao: “essendo un film con bambini e attori non professionisti sapevamo di dover dare spazio all’interpretazione e così abbiamo girato ogni giorno affidandoci a ciò che avrebbero creato sulla scena” ricorda la Labiki che, nonostante una sceneggiatura di partenza molto solida, si è ritrovata in fase di montaggio con oltre 500 ore di girato ed uno script da rimaneggiare.

Zain Al Rafeea è il giovanissimo protagonista di Cafarnao - Caos e Miracoli: in seguito alle riprese del film, l’UNHCR (L'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) ha provveduto al trasferimento del giovane libanese e della sua famiglia in Norvegia, dove frequenta la scuola assieme ai suoi fratelli ed agli stessi genitori. Il film della Labaki ha cambiato la vita di tutti i bambini che vi hanno preso parte ed ha senz’altro suscitato un dibattito sociopolitico, gettando luce su alcuni dei problemi che affliggono il suo Paese: “Cafarnao ha attirato l’attenzione è questo è già un passo importante ma bisogna fare di più, è necessario far si che il film esca dai confini dell’ambiente cinematografico per dare vita ad un movimento. Credo sia mia responsabilità di artista cercare di far si che si smuova qualcosa, così che il Governo possa pensare a delle soluzioni possibili. Il mio progetto attualmente è quello di realizzare delle proiezioni per i ministeri, i giudici e gli avvocati, certo il mio potrebbe essere un atteggiamento troppo ingenuo, forse sono troppo speranzosa e fiduciosa, ma mi auguro che questo successo possa portare ad altro”.

Silvia Piccoli 27/03/2019

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