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Al Rendez-Vous si torna a parlare di scuola con “Les Grands Esprits” di Olivier Ayache-Vidal

Da “La classe” a “Les Choristes”; da “L’attimo fuggente” a “Mona Lisa Smile”; da “Io speriamo che me la cavo” a “Il rosso e il blu” passando per “I liceali” ed “I ragazzi del muretto”; gli autori non sembrano averne mai abbastanza di scrivere film e serie televisive sulla scuola. Ad occuparsi del mondo dei ragazzi, parallelo e distante dal pianeta adulti, è anche Olivier Ayache Vidal in “Les Grands Esprits”, pellicola presentata nel corso della terza giornata del Rendez-Vous 2018 (la rassegna dedicata al nuovo cinema francese in corso a Roma fino al 10 aprile).
Il regista di “Made in China” inserisce nella sua opera tutti gli archetipi del filone cinematografico di riferimento: l’insegnante burbero che riesce a suscitare l’entusiasmo dei suoi studenti, il ragazzo ribelle, gli intrecci amorosi che in parallelo legano i due protagonisti, l’elemento comico che nasce dall’interazione degli adulti con dei teenagers. A dare il via all’azione è il trasferimento di François Foucault, professore di lettere del più prestigioso liceo parigino, in un istituto nella banlieue, per redigere un rapporto sulla qualità dell’insegnamento nelle periferie. Qui incontra Seydou, un alunno svogliato che gli farà conoscere una realtà che fino a quel  momento era per lui solo un argomento di discussione nelle serate mondane della capitale. Come nella migliore tradizione, il rapporto che si instaura tra i due personaggi si rivelerà salvifico per entrambi: riscoprendo il vero significato della professione di educatore Foucault cancellerà “il grigio che ha nel cuore”; Seydou invece capirà che la conoscenza può essere lo strumento per accedere ad una vita che sembra negata a chi nasce in periferia.
A donare nuove sfumature ad una storia già narrata è la regia. Per il suo primo lungometraggio Olivier Ayache Vidal decide di non abbandonare il genere che lo ha reso celebre, ovvero il reportage, unendo i toni di una commedia molto divertente con quelli di un docufilm carico di significato. Un’orchestrazione in cui si susseguono panoramiche orizzontali, carrellate a seguire, laterali ed in avanti con cui ad essere riprese sono le lande desolate che separano il centro dei palazzi borghesi dai suburbi in cui, anche le scuole, hanno l’aspetto di carceri. I professori – alcuni non attori professionisti ma veri docenti dell’istituto Barbara de Stains che fa da cornice alla storia- vengono seguiti in aula, in mensa, e nella sala docenti trasformata in un confessionale in cui dar libero sfogo alle proprie frustrazioni e al costante senso di fallimento. La macchina insiste sugli sguardi intorpiditi e distanti degli studenti durante le lezioni e con la stessa intensità ne coglie l’accendersi della passione per il sapere.
Lo sguardo del film-maker, coadiuvato al pubblico tramite le brillanti interpretazioni di Denis Podalydès e dell’esordiente Abdoulaye Diallo, è oggettivo e rifugge dalla banalizzazione dei sentimenti e proprio questo permette al pubblico di cogliere a pieno la riflessione alla base del film ovvero la rappresentazione della cultura non come mezzo per “la salvezza del mondo” ma come elemento necessario per la creazione di un’identità nazionale in paesi sempre più multiculturali; perché sono proprio l’appartenenza allo stesso sistema di valori e la condivisione dello stesso patrimonio culturale a determinare la nazionalità di una persona e non il suo sangue.
La pellicola insignita del premio France24 è stata recentemente acquistata da Pier Francesco Aiello della PFA Films e approderà presto anche nelle nostre sale.

Mirta Barisi 08/04/2018

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