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Pokémon: Detective Pikachu e il ritorno all'infanzia

Ci sono oggetti, immagini, sguardi, o semplici personaggi capaci di trasportarci in spazi e tempi perfettamente connotati e apparentemente perduti. Basta ammirarli intensamente - o anche solo di sfuggita - ed eccoci trasportati in universi lontani abitati di ricordi, memorie e odori che sanno di passato. Per chi negli anni Duemila era bambino, o poco più che adolescente, tra i correlativi oggettivi della propria infanzia c’è sicuramente anche lui: Pikachu. Il piccolo “topino elettrico” nato dalla mente di Satoshi Tajiri e compagno di avventure dell’allenatore di Pokémon Ash Ketchum ha accompagnato molti di noi durante gli intervalli a scuola, i viaggi in treno, in macchina, o sul pullmino sotto forma di carta da gioco, o videogame per GameBoy. In un’epoca in cui i telefonini con le videocamere erano qualcosa di avveniristico e per navigare in internet dovevi chiudere ogni conversazione telefonica, in molti sognavano di partire per mondi sconosciuti e catturare con pokeball improvvisate ora un Bulbasaur, ora uno Squirtle o un Psyduck.
Il film “Pokemon: Detective Pikachu” giunge a noi trasportato dal mare nostalgico della malinconia per tempi andati e unici perché così belli, così spensierati. Il protagonista, Tim Goodman (Justice Smith), non è Ash Ketchum. È un ragazzo normale che vive una vita normale e ai Pokémon non ci pensa più. Le sue giornate sono occupate da pensieri e timori di un tipico ventiduenne impiegato nel ramo delle assicurazioni a cui viene comunicato che il padre detective è morto in circostanze misteriose. A campeggiare sullo schermo non vi è più il cappellino di Ash pronto a essere girato prima di una battaglia, ma l’ordinarietà di un ragazzo che si fa alter-ego finzionale dello spettatore in sala. Tim è il portavoce della nostra esistenza, di ragazzi con tanti sogni che desideravano – e forse sotto sotto desiderano ancora – avere come partner di avventure il proprio Pokémon preferito. Non è un caso pertanto se Tim fa la sua conoscenza con Pikachu (doppiato nella versione originale da Ryan Reyndolds) nella casa del padre a Ryme City. La metropoli è il cuore urbanistico in cui uomini e Pokémon abitano in sintonia, ma è soprattutto un corollario di edifici e punti caratterizzanti ogni città del mondo (facilmente individuabile è il 30 St Mary Axe, il grattacielo di Londra, mentre non mancano le varie ambientazioni giapponesi, o la piazza rimembrante Times Square a New York). Una visione cosmopolita che allude all’universalità del successo di questo cartone animato capace di lasciare la propria impronta indelebile nell’immaginario collettivo degli ultimi vent’anni.
detetive pikachu
Il regista Rob Letterman sa quali sono i punti di forza del suo “Detective Pikachu” e non ha paura di sfruttarli: i primi piani di Pikachu colpiscono al cuore dello spettatore richiamando a sé, come canti di sirena, i nostri più cari ricordi di infanzia, mentre la tecnica mista che affianca ad attori e scenografie reali personaggi animati, richiama alla mente per costruzione e misteri da risolvre un’altra pietra miliare del nostro glorioso passato: “Chi ha incastrato di Roger Rabbit?” di Robert Zemeckis. La semplicità con cui il giovane Justice Smith incarna il protagonista, risultando pertanto credibile nella sua interazione con il piccolo detective Pikachu, offre un ulteriore, solido, tassello in questo mosaico fatto di luci a neon e fotografie sature e cangianti, degne del videogioco da cui il film trae ispirazione.
Ogni componente trova il proprio spazio in una struttura lineare e semplicistica di un intreccio che non osa. Ci prova la sceneggiatura di Nicole Perlman, Rob Letterman, Dan Hernandez, Benji Samit e Derek Connolly ad addentrarsi tra i confini del politically scorrect, senza per questo riuscirci pienamente. Le battute mancano di mordacità e quando centrano l’obiettivo di strappare una risata in sala è perché supportate dalla controparte animata dei piccoli Pokemon. Ci si aspettava di più da un comparto favolistico non all’altezza dell’impaginazione visiva della scena. Ciononostante si sorvola facilmente su tali singhiozzi narrativi proprio perché “Detective Pikachu” non è un film nato per scuotere gli animi o le menti del proprio pubblico quanto recuperare uno dei principali e ancestrali obiettivi del cinema: intrattenere lo spettatore distraendolo dalla fatica della vita quotidiana, proprio come distratto e supportato è Tim dal suo piccolo Pikachu.

Elisa Torsiello, 30 maggio 2019