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L’“Omicidio all’italiana” di Maccio Capatonda. Quando la comicità smaschera l’orrore

L’arretrata e monotona realtà di Acitrullo, un piccolo paese di 16 abitanti arroccato tra le montagne abruzzesi, viene sconvolta dalla morte di uno dei suoi abitanti, la facoltosa contessa In Cazzati.
Il tenace sindaco Piero Peluria (Maccio Capatonda) e suo fratello, il vicesindaco Marino Peluria (Herbert Ballerina), decidono di sfruttare a proprio vantaggio il tragico avvenimento: inscenare un efferato assassinio in modo tale da risollevare le sorti del comune e renderlo popolare in tutta Italia. Ad accompagnare le inconcludenti indagini della polizia giunge l’efficientissima troupe televisiva del programma “Chi l’acciso?”, condotto da Donatella Spruzzone (Sabrina Ferilli), che costruisce minuziosamente attorno al caso un vero e proprio show spettacolare, un “omicidio a luci grosse”.Maccio2
La risonanza mediatica dell’evento suscita gli effetti sperati dal sindaco: orde di giornalisti e turisti curiosi si riversano a visitare (o addirittura) villeggiare presso l’ormai famoso “paese della morta ammazzata” per scattarsi foto ricordo sulla scena del delitto o per comprare qualche souvenir con su scritto “Je suis Acitrullo”. Ma la situazione degenererà, sfuggendo al controllo dei suoi stessi artefici.
Con “Omicidio all’italiana” (in uscita nelle sale a partire dal 2 marzo) Marcello Macchia, in arte Maccio Capatonda, riporta per la seconda volta sugli schermi la sua personalissima impronta che unisce alla comicità più elementare una tagliente vena satirica. Il film ha infatti la capacità di schiaffeggiare e far ridere allo stesso tempo: facendo leva sul duplice significato letterale e metaforico delle parole, Maccio si riconferma giocoliere del linguaggio e l’invenzione di spassosi nomi per i suoi personaggi il suo originale marchio di fabbrica. «Volevo fare un film che un minimo smuovesse le coscienze e facesse riflettere», afferma Maccio alla conferenza stampa tenutasi il 22 febbraio al Cinema Adriano di Roma.
Perché “Omicidio all’italiana”, anche se lo fa ricorrendo principalmente a demenziali espedienti, è un film che spoglia e ridicolizza una delle conseguenze più raccapriccianti prodotte da quella che Guy Debord, già nel 1967, aveva definito come “società dello spettacolo”: la morbosa attrazione dei media nei confronti della tragicità macabra. Il fittizio (ma neanche troppo) programma “Chi l’acciso”, incarna proprio quel tipo di TV che, grazie alla sua sensazionalistica capacità di storytelling, trasforma i fatti di cronaca nera, la morte, Maccio3in puro spettacolo di intrattenimento, tenendo gli spettatori incollati a seguire e scoprire i dettagli più raccapriccianti dei massacri. Tramite i più disparati espedienti narrativi, l’omicidio diventa una fiction a puntate da gustare in tutti i suoi colpi di scena. Nel mondo ipermediatico e ipertecnologico in cui viviamo, il reale viene rarefatto in rappresentazione, sottoposto al filtro dello schermo uscendone alterato: «Ma la realtà non è aggiornata come il telefonino...», dice con disarmante evidenza Marino Peluria (Luigi Luciano, in arte Herbert Ballerina, storica spalla di Maccio). Se la risata può essere la prima reazione istintiva di fronte a battute del genere, immediatamente dopo si inizia a insinuare un’amara riflessione; il punto di forza comica del film risiede proprio nel riuscire a nascondere dietro a questa apparente e dissacrante ignoranza delle inquietanti verità. Un omicidio diventa quindi evento mediatico di forte risonanza e il luogo nel quale avviene si trasforma in una assurda meta vacanziera verso cui praticare un vero e proprio turismo dell’orrore. In questo senso Acitrullo non è altro che l’estrema rappresentazione in chiave comica dell’Isola del Giglio, di Avetrana, Cogne e Novi Ligure, per citare alcune delle mete attorno alle quali si sono creati, negli ultimi anni, dei reali tour operator, veri avvoltoi specializzati nelle ‘gite del dolore’.
Come dimostra la vicenda di Acitrullo, spesso l’anonimato e la mancanza di notorietà possono rivelarsi efficaci armi per difenderci dall’onda di marcia informazione che ci sommerge, dal momento che «non tutto merita di essere saputo». Bisognerebbe quindi iniziare a gerarchizzare e distinguere informazione da intrattenimento per non rischiare di rimanere intrappolati in un deserto emotivo che ci lascia indifferenti persino di fronte alla morte. A chi lo accusa di essere troppo assurdo, il regista abruzzese non può che rispondere in modo poco rassicurante che «le idee più cattive sono già state superate dalla realtà».

Flavia Mainieri 25/02/2017