Il 5 maggio arriva nelle sale cinematografiche, distribuita da Tucker Film, l'ultima opera del regista israeliano, conosciuto al grande pubblico per la celebre serie televisiva In treatment. Prodotta da Spiro Films e Rosamont, in collaborazione con MK2 Films, la pellicola è entrata nella selezione ufficiale del Festival di Cannes 2020.
Ambientato in Israele, Noi due racconta il tenero rapporto tra Ahron (Shai Avivi) e suo figlio Uri (Noam Imber), che soffre di un disturbo dello spettro autistico. Ormai un giovane adulto, Uri non può più vivere coi suoi genitori isolato dal resto del mondo, senza contare che potrebbe avvalersi dell’assistenza di personale specializzato, ma l’allontanamento dal nido familiare spaventa il figlio tanto quanto il padre. Sarà proprio durante il viaggio verso l’istituto che Ahron, all’improvviso, decide di scappare col ragazzo. In una goffa fuga per tutto il Paese, si dipana davanti agli occhi dello spettatore la relazione complessa e incredibilmente dolce tra i due. Ma Ahron sa che l’avventura non potrà durare per sempre e che una decisione andrà presa.
La pellicola si ispira, nel rapporto tra i personaggi, alla famiglia della sceneggiatrice stessa, Dana Idisis, in particolare alla relazione tra suo padre e suo fratello, il cui autismo è stato diagnosticato in tarda età. Ci tiene però a sottolineare Idisis che Noi due “non è un film sull’autismo. E non è nemmeno un film sul padre di un bambino autistico, o sulle sfide di un uomo con un bambino con bisogni speciali in famiglia. È un film su un padre e un figlio. Sull'inevitabile separazione tra genitori e figli.”
La stretta conoscenza della malattia da parte della sceneggiatrice ha sicuramente aiutato Bergman, che si dimostra in grado di trattare il tema della paternità e dell’autismo con delicatezza. Alternando abilmente il tono della commedia a quello del dramma riesce infatti a suscitare nello spettatore commozione e risate senza sforzarsi e senza pietismo. È lui stesso ad affermare, infatti, di apprezzare “una regia sottile e delicata, che non impone le emozioni allo spettatore ma le lascia arrivare gradualmente.”
Giulia Gambazzi 02/05/2022