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La tragedia politica dell’alienazione intellettuale: al Festival del cinema spagnolo il capolavoro cubano Memorias del subdesarrollo

“Sono un uomo malato” esclama sin da subito l’uomo-topo dostoevskijano nel tentativo di raccontare dal sottosuolo la sua alienazione contro lo spirito e le menzogne del secolo Ottocento, “sono un uomo solo” è il messaggio che trapela dai pensieri, dalle parole e dagli atti di Sergio Carmona Mendoyo all’interno del sottosviluppo politico ed esistenziale del secolo Novecento. Grazie al prezioso contributo della Cineteca di Bologna, l’Istituto Cubano dell’Arte e Industria Cinematograficos (ICAIC) e al sostegno della George Lucas Family Foundation, all’interno della rassegna del Festival del cinema spagnolo (dal 2 all’8 maggio al cinema Farnese di Roma) è stato possibile godere della visione di una gemma del cinema cubano degli anni Sessanta: Memorias del subdesarrollo di Tomás Gutiérrez Alea. Rievocando sia in maniera linguistica che tematica il famoso romanzo dello scrittore russo, questo dramma politico possiede una lacerante universalità ontologica e una dirompente attualità socio-politica tali da essere ancora vivo a distanza di cinquant’anni. Tratto dall’omonimo romanzo di Edmundo Desnoes, il film segue le vicende ma soprattutto le conseguenti introspezioni psicanalitiche di un intellettuale borghese, aspirante scrittore e deliziosamente inetto nella Cuba castrista alle soglie della crisi missilistica che coinvolse l’isola, gli Stati Uniti e l’intero mondo nella più significativa angoscia apocalittica del secolo scorso. Abbandonato da moglie, parenti e amici - uomini di alto rango in cerca di rifugio nella confortevole zona al nord del Tropico - Sergio decide di restare sull’isola non perché crede nella rivoluzione socialista, ma perché solo all’interno di questo inerme e putrefatto dinamismo sociale, solo assecondando le tendenze alla sofferenza insita in ogni uomo, gli è possibile accedere a una conoscenza individuale e collettiva: decostruire e costruire la realtà intorno a sé gli è necessario per congiungere i tasselli della sua vita. Questa volta l’uomo-topo tenta di scavare per uscire dal sottosviluppo, le cui accezioni politiche e ontologiche non sono mai state così congiunte come nel Novecento.

memorias subdesarrolloTuttavia la narrazione è fallace e soggettiva e le conseguenze sono fallimentari. La sapienza registica di Gutiérrez nel rimarcare lo sguardo del protagonista meticoloso e telescopico sul mondo politico intorno a sé è una scelta tematica, oltre che estetica, essenziale nel comprendere la complessità di un uomo inquieto e le contraddizioni e l’immobilità sociale di un mondo, L’Avana di cartapesta convinta di un cambiamento che in realtà non è mai avvenuto. Se da un lato non si riconosce nella moglie e nell’amico Pablo, la borghesia qualunquista, ignorante e parassita da cui rifugge, dall’altro non si sente parte dello spirito apparentemente rivoluzionario dei cubani, presuntuosi e capaci solo di adattarsi al momento. In questo scacco civile ed esistenziale Sergio tenta in tutti i modi di mantenersi a galla tenendo disperate, ingannevoli e mendaci relazioni sentimentali. Si illude volontariamente attraverso la visione angelico-erotica della ragazza delle pulizie, intraprende una relazione immatura con l’adolescente Elena, incapace di relazionare l’esperienza, le idee e i sentimenti (secondo lui elementi essenziali per comprendere gli eventi intorno a sé), rifiuta l’agognata felicità intellettiva e spirituale con la colta ed europea Hannah. In Memorias del subdesarrollo il conflitto individuale e collettivo sembra essere insormontabile e viene analizzato sotto tutti i punti di vista: in maniera dispregiativa e cinica sia riguardo l’assegnazione del ruolo morale al criminale in quanto esorcista della morte diretta per il bene della collettività borghese (a tal proposito, è difficile trovare un titolo più dostoevskijano di “La verità del gruppo sta nell’assassino”), sia per l’assegnazione del ruolo etico all’intellettuale in quanto redentore agiato per il bene della massa socialista (si vedano le sarcastiche critiche a Pablo Picasso e Ernest Hemingway), in maniera nichilista e incoerente nel rapporto tra l’individuo politico Sergio e il mondo sottosviluppato. La riflessione marxista sulla dialettica tra il mondo capitalista e il socialismo alla tavola rotonda con gli intellettuali – tra cui Edmondo Desnoes – gli appare una mera diatriba narcisistica e autoreferenziale piuttosto che una costruttiva autocritica. La crisi missilistica, il discorso di Fidel Castro, il lungo ozio e la paura bellica sanciscono la putrefazione del suo senso civico e morale, in concomitanza con quella biologica e ontologica. Memorias del subdesarrollo può essere definito un saggio politico-esistenziale scritto con plurimi e raffinati registri del linguaggio cinematografico – dalla fotografia ai filmati di repertorio, dalla carta stampata all’inquadratura – che tuttavia non rinuncia a momenti di sublime lirismo e di assoluta drammaticità: una decisa negazione del suo valore storico-euristico e una disperata rivendicazione del suo valore romantico e filosofico. Insomma, un sofferto e irrazionale monologo di critica sociale. 

Piero Baiamonte  07/05/2019

 

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