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"Love is All": l’ ultimo autoritratto di Piergiorgio Welby

È come un soffio delicato di vento quel verso del Cantico delle Creature, “Laudato sì, mi Signore, per sora nostra Morte corporale”. Lo stesso che apre “Love is All. Piergiorgio Welby, Autoritratto” (2015) e che risuona come un dolce sibilo finalmente volato via dalla prigionia a cui era costretto.
Alla Casa del Cinema di Roma, il 12 aprile 2017, un ristretto e attento pubblico ha assistito alla proiezione del documentario sulla figura di Piergiorgio Welby. Chi non ricorda l’immagine di quell’uomo inerte a letto, attaccato a un respiratore polmonare che, nel 2006, con una voce sintetica chiedeva al Presidente della Repubblica di poter morire? Ma “Love is All” - ci tengono a sottolineare i registi Francesco Andreotti e Livia Giunti presenti in sala - non è un film sull’eutanasia. No, il lavoro, di nove anni, nasce come un vero e proprio percorso a ritroso, un viaggio appassionato attraverso gli scritti, le poesie, le fotografie, i dipinti e i filmati di Piergiorgio Welby.
Mossi dall’idea del ritratto, i due registi toscani, si sono letteralmente messi sulle tracce di questa figura, non tanto per ricordarla, quanto per scoprirla, conoscerla, innamorarsene e quindi riviverla. Così le prime immagini di repertorio, mescolate a fotogrammi d’animazione, mostrano l’infanzia di Welby trascorsa con il padre a cui era molto affezionato. Momenti di caccia si alternano alla pesca, mettendo in evidenza quel suo contatto quotidiano con la natura. Tra scorci di Cascina (Pi) e Roma, si susseguono alcune fotografie del giovane sedicenne, l’età in cui gli fu diagnosticata la distrofia muscolare progressiva che lo rese, come lui stesso testimonia, una sorta di criceto prigioniero in una ruota. Ancora foto personali sovrapposte ad alcuni suoi disegni in uno stile quasi sperimentale.Loveisall02 Poi l’amore per Mina riassaporato per mezzo di fotogrammi tanto intensi quanto quel suo sguardo che fino all’ultimo ha cercato (invano) di proiettarsi in una dimensione altra. In sottofondo risuonano le interviste ai suoi familiari tra cui quella alla sorella Carla, anche lei presente in sala. Per tutta la durata del documentario, la voce calda di Emanuele Vezzoli legge i pensieri di Welby e ne ricava un racconto ripercorrendo alcune tappe della sua adolescenza e dell’età adulta. Sulle musiche di Tommaso Novi, una poltiglia morbida di accordi di piano dissonanti, al limite della disarmonia, Vezzoli ci accompagna con il suo timbro tiepido e nostalgico. Abbraccia il dolore dei quadri di quello che si definì “non abbastanza vivo per i vivi, non abbastanza morto per i morti”. Penetra in quegli scritti personali con discrezione e rispetto. Distilla le emozioni di Welby, ne prende parte finendo per coinvolgere anche lo spettatore. E la sofferenza che trapela da quelle sue liriche, da quelle sue pitture a olio si fa esperienza di conoscenza. Perché “Love is All” (menzione speciale ai Nastri D’Argento 2017) è un film sul filosofo, sul letterato, sul pensatore, sull’artista che Welby è stato. Un’opera che narra dell’uomo che si cela dietro quell’icona desolante, tanto vista in tv, sui giornali e sulla rete. Un documentario in cui l’uomo è vivo più che mai. Tutto quel materiale inerte, infatti, finisce per prendere vita grazie a Piergiorgio stesso che sembra ancora impugnare i suoi pennelli e intingerli nella tavolozza dell’esistenza. E se osserviamo bene lo vediamo, è proprio lì, pronto a lasciarci un ultimo autoritratto: il suo cantico di creatura del mondo che si libra nell’aria con intensità, ironia e vigore e che diventa un inno alla vita.


Penelope Crostelli 14/04/2017