Sono trascorsi 32 anni dalla strage di Capaci, l’attentato in cui il 23 maggio 1992 persero la vita il magistrato antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo (anche lei magistrato) e gli agenti della scorta. Questo fatidico evento ha congelato il tempo in un’istantanea e in virtù del carico doloroso di tale avvenimento, la figura di Falcone è stata definitivamente consegnata alla memoria collettiva. Da allora, il giudice siciliano è entrato nella galleria di quei personaggi della storia italiana a cui il cinema si è più accostato. La sua figura si colloca infatti ai primi posti di un’ipotetica classifica delle personalità del nostro passato più rappresentate nel grande schermo. È interessante dunque analizzare sia le opere a lui direttamente dedicate sia quelle in cui la sua presenza è parte essenziale di altre storie.
Il racconto cinematografico di Falcone si è mosso quasi sempre su alcune direttrici stabili: il coraggio e la solitudine di un uomo che combatte contro un nemico che sembra inarrestabile; l’incontro con Tommaso Buscetta, la cui collaborazione è stata di importanza fondamentale nell’azione di contrasto alla mafia; la storia d’amore con la collega Francesca Morvillo, anche lei magistrato, che perse la vita nell’attentato; il rapporto professionale e il legame con Paolo Borsellino, e infine l’infrangersi delle illusioni di giustizia, mentre si avvicinava il giorno in cui sbarcherà per l’ultima volta all’aeroporto di Palermo, oggi dedicato alla memoria dei due giudici.
Il primo film su Falcone uscì l’anno dopo la sua morte per la regia di Giuseppe Ferrara, con il titolo di Giovanni Falcone (1993). Per il ruolo del magistrato venne scelto Michele Placido, mentre fu Giancarlo Giannini a vestire i panni del collega Borsellino. Il film si svolge in un arco temporale di dieci anni, dal 1981 al 1992, e si basa sulla storia vera del giudice, in particolare gli ultimi anni di lavoro nella missione contro lo strapotere della mafia. Il film mostra come all’inizio, in qualità di collaboratore del giudice Rocco Chinnici e sulla scia dell’omicidio del generale Dalla Chiesa, Falcone ipotizzò l’esistenza di un “terzo livello” della famigerata “Cupola”, ed un progetto che prevedeva radicate collusioni tra i boss mafiosi (i Corleonesi, i Greco, i Riina ed altri) ed importanti uomini politici. Note poi le sue interrogazioni dei grandi pentiti: Buscetta emigrato in America, Calderone, Mannoia e Contorno. Dopo il maxi processo, però, Falcone viene trasferito a Roma per prestare servizio al Ministero di Grazia e Giustizia, in qualità di Direttore generale per gli affari penali: non è tanto una promozione, quanto piuttosto un modo per liberarsi in loco di un uomo diventato scomodo e pericoloso per tutti i poteri coalizzatisi contro la sua azione tenace. Ferrara infine mostra come Falcone rimanga pressoché isolato gli ultimi due anni della sua vita, sostenuto soltanto dal collega Borsellino e dal suo nuovo capo al Ministero, Antonio Caponnetto. Il film divenne un caso ancor prima di essere girato: la famiglia di Borsellino e altri parenti delle vittime si opposero alla sua realizzazione, accusando il regista di voler speculare sul loro dolore, ma Ferrara rispose con una lettera aperta in cui difendeva il suo operato.
Molti, nel corso di questi trent’anni, sono stati i film che hanno raccontato invece la figura di Falcone come personaggio collaterale all’interno di altre storie. Il celebre I cento passi (2000) di Marco Tullio Giordana è dedicato alla vita e all’omicidio di Peppino Impastato (1948-1978), giornalista e attivista impegnato nella lotta a Cosa nostra nella sua terra. Uno dei suoi più noti articoli di denuncia si intitolava proprio “La mafia è una montagna di merda”, articolo che lo rese fin da subito malvisto agli occhi della criminalità locale. Il titolo del film prende il nome dal numero di passi che occorreva fare a Cinisi (PA) per colmare la distanza tra la casa della famiglia Impastato e quella del boss mafioso Gaetano Badalamenti. Impastato fondò anche Radio Aut, emittente attraverso la quale attaccava e prendeva in giro la mafia, in particolare il capomafia del paese “don Tano”, denunciandone gli atti criminali. E proprio durante la campagna elettorale per le elezioni comunali, il suo corpo venne ritrovato adagiato sui binari della ferrovia, in modo da far credere che si fosse suicidato. Due mesi dopo l’omicidio di Impastato, Falcone viene trasferito dalla sezione civile del tribunale di Trapani a Palermo. Nella sentenza del 1984, si riconosce finalmente che il giornalista sia stato ucciso dalla mafia per il suo impegno di denuncia e di lotta, ma si sostiene che non si possano individuare i responsabili del delitto. A questo farà seguito un comunicato stampa del "Centro Impastato", il quale evidenzierà il fatto che gli assassini abbiano un nome e un cognome e si chiederà, inoltre, di tenere aperta l’inchiesta. Per far luce sul caso vengono battute molte piste e un avvenimento importante è quello che vede i magistrati Falcone e Sciacchitano recarsi negli Stati Uniti: un viaggio che, però, non consentirà loro di ottenere l’estradizione di Gaetano Badalamenti. Intanto, la mafia di Cinisi inizia ad assumere nomi e volti ed è anche per questo che si ipotizza concretamente la pista mafiosa a soluzione del caso. Tommaso Buscetta, attraverso alcune dichiarazioni, permette di ricostruire la composizione dei clan cinisari, tra i quali spicca ovviamente il nome di Gaetano Badalamenti, che ne sarebbe stato il capo fino ai primi mesi del 1978, sostituito successivamente da un reggente, Nino Badalamenti.
La figura di Falcone è gravitata anche attorno ad uno dei personaggi forse più controversi della nostra Repubblica, Giulio Andreotti, e Il divo (2008) di Paolo Sorrentino ne ripercorre la vita nel periodo tra il 1991 e il 1993, a cavallo tra la presentazione del suo VII governo e l’inizio del processo di Palermo per collusioni con la mafia. La pellicola inizia con una lunga serie di morti di personalità di spicco: Aldo Moro, Dalla Chiesa, Pecorelli, Sindona, Ambrosoli e Falcone. Tutti decessi che riguardano direttamente o indirettamente Andreotti, e la sequenza di questi omicidi si conclude proprio con l’esplosione dei 500 kg di tritolo sistemati all’interno di fustini in un cunicolo di drenaggio, sotto l’autostrada in prossimità dello svincolo di Capaci. A tal proposito, le parole di Andreotti all’inizio del film sono estremamente lapidarie: “lei ha sei mesi di vita – mi disse l’ufficiale medico alla visita di leva –, anni dopo lo cercai, volevo fargli sapere che ero sopravvissuto, ma era morto lui. È andata sempre così: mi pronosticavano la fine, io sopravvivevo, sono morti loro”. E subito dopo l’esplosione dell’auto di Falcone, il film stacca su una scena in parlamento: Andreotti è seduto al tavolo del governo in qualità di presidente del consiglio e la Camera sta osservando un minuto di silenzio in memoria della morte del magistrato. Subito dopo, a seguito della votazioni la Camera dichiara eletto presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. E così un deputato della Dc si rivolge ad un collega di partito: “guarda bene Andreotti e impara come si sta al mondo”. E ancora, eloquente è la scena del film in cui Andreotti e il suo staff guardano in televisione il funerale di Falcone e degli agenti della scorta, in cui celebre è il discorso di Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani: “io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio se avete il coraggio di cambiare … ma loro non cambiano”. E sul volto pacato e imperscrutabile di Andreotti tutto ciò sembra scivolare addosso.
Una figura che invece si è rivelata centrale nelle indagini di Falcone è stata sicuramente quella di Tommaso Buscetta (1928-2000), mafioso membro di Cosa nostra e successivamente collaboratore di giustizia. Il traditore (2019) di Marco Bellocchio ne ripercorre le vicende: dagli anni ’80, nella Sicilia in cui è in corso una guerra tra le cosche mafiose per il controllo sul traffico della droga, fino agli ultimi anni di vita sotto copertura negli Stati Uniti. Dopo il suo arresto in Brasile nel 1983 e il ritorno in Italia, fu uno dei primi mafiosi a collaborare con la giustizia durante le inchieste coordinate da Falcone: le sue rivelazioni permisero, per la prima volta, una dettagliata ricostruzione giudiziaria dell’organizzazione e della struttura della criminalità siciliana. Attraverso gli incontri privati tra Falcone e Buscetta durante gli anni del maxi processo, il film ne ricostruisce il rapporto di fiducia e stima reciproca. Alla morte di Falcone, Buscetta si trovava sotto protezione con i familiari negli Stati Uniti, ma aveva promesso al giudice che sarebbe tornato in Italia: e così fece. Dopo la morte del magistrato a Capaci, Buscetta si lascia intervistare a volto oscurato in una trasmissione televisiva e qui inizia a parlare dell’unico argomento che in precedenza non aveva mai voluto toccare: i presunti legami della mafia con la politica, in particolare con Andreotti, uno dei più importanti politici italiani. E la risposta di Buscetta al giornalista, che gli chiede conto delle pesanti accuse nei confronti dello Stato, ci fa comprendere la sua stima nei confronti del magistrato:“lo devo al dottor Falcone e alla sua memoria. Io amavo Giovanni Falcone, mi piaceva parlare con lui, ragionare, discutere, litigare anche. Mi piaceva la sua testa. Lui era l’unico che capiva sempre quello che dicevo … anche quello che non dicevo”.
Ma forse, alla fine, è la foto che riprende Falcone e Borsellino, sorridenti e complici, alla presentazione della candidatura di Giuseppe Ayala in parlamento a restituirci al meglio l’umanità del magistrato. Quella immagine è divenuta iconografica ed ha finito per rappresentare l’epitome dell’avventura umana e professionale di Falcone, e ancor più in generale della lotta alla mafia, meglio (forse) della finzione cinematografica. C’è, in quella foto, la dirompente vitalità dell’amicizia di due uomini, impegnati certamente in una battaglia mortale contro il crimine organizzato e consapevoli dei rischi che correvano, ma anche alieni dalle autocelebrazioni e dalla riduzione “machiettistica” del loro impegno, che si ritrova in film e tante fiction che al tema si sono dedicati. La narrazione cinematografica spesso si accosta a personaggi della nostra storia che, per la loro statura o per gli avvenimenti di cui sono stati protagonisti, sollecitano la fascinazione popolare. Tuttavia il cinema ha il compito non sempre facile di coniugare estro artistico e fedeltà storica, nel tentativo di non cadere in semplificazioni, poiché la matassa delle vicende che hanno scandito la vita di Falcone è sempre difficile da sbrogliare.
Benedetta Morelli, 27/05/2024